Vita di preghiera

Messaggio per la pace

«Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7). Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per questa gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso. Ancora oggi, il cammino della pace rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace. In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati. Vorrei proporre tre vie per la costruzione di una pace duratura. Anzitutto, il dialogo tra le generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi. In secondo luogo, l’educazione, come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo. Infine, il lavoro per una piena realizzazione della dignità umana. Si tratta di tre elementi imprescindibili per «dare vita ad un patto sociale», senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.

(Estratto dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2022)

Stefano, il primo martire

Cari fratelli e sorelle, ogni anno, all’indomani del Natale del Signore, la liturgia ci fa celebrare la festa di santo Stefano, diacono e primo martire. Il libro degli Atti degli Apostoli ce lo presenta come uomo pieno di grazia e di Spirito Santo (cfr. At 6,8-10; 7,55); in lui si è verificata in pieno la promessa di Gesù riportata dal testo evangelico odierno, che cioè i credenti chiamati a rendere testimonianza in circostanze difficili e pericolose non saranno ab­bandonati e indifesi: lo Spirito di Dio parlerà in loro (cfr. Mt 10,20). Il diacono Stefano, in effetti, operò, parlò e morì animato dallo Spirito Santo, testimoniando l’amore di Cristo fino all’estremo sacrificio. Il primo martire viene descritto, nella sua sofferenza, come imitazione perfetta di Cristo, la cui passione si ripete fino nei dettagli. La vita di Santo Stefano è interamente plasmata da Dio, conformata a Cristo, la cui passione si ripete in lui; nel momento finale della morte, in ginocchio, egli riprende la preghiera di Gesù sulla croce, affidandosi al Signore (cfr. At 7,59) e perdonando i suoi nemici: «Signore, non imputare loro questo peccato» (v. 60). Ri­colmo di Spirito Santo, mentre i suoi occhi stanno per spegnersi, egli fissa lo sguardo su «Gesù che stava alla destra di Dio» (v. 55), Signore di tutto e che tutti attira a Sé. Nel giorno di Santo Stefano, anche noi siamo chiamati a fissare lo sguardo sul Figlio di Dio, che nel clima gioioso del Natale contempliamo nel mistero della sua Incarnazione. Con il Battesimo e la Cresima, con il prezioso dono della fede alimentata dai Sacramenti, specialmente dall’Eucaristia, Gesù Cristo ci ha legati a Sé e vuole continuare in noi, con l’azione dello Spirito Santo, la sua opera di salvezza, che tutto riscatta, valorizza, eleva e conduce al compimento. Lasciarsi attirare da Cristo, come ha fatto Santo Stefano, significa aprire la propria vita alla luce che la richiama, la orienta e le fa percorrere la via del bene, la via di un’umanità secondo il disegno di amore di Dio. Infine, santo Stefano è un modello per tutti coloro che vogliono mettersi al servizio della nuova evangelizzazione. Egli dimostra che la novità dell’annuncio non consiste primariamente nell’uso di metodi o tecniche originali, che certo hanno la loro utilità, ma nell’essere ricolmi di Spirito Santo e lasciarsi guidare da Lui. La novità dell’annuncio sta nella profondità dell’immersione nel mistero di Cristo, dell’assimilazione della sua parola e della sua presenza nell’Eucaristia, così che Lui stesso, Gesù vivo, possa parlare e agire nel suo inviato. In sostanza, l’evangelizzatore diventa capace di portare Cristo agli altri in maniera efficace quando vive di Cristo, quando la novità del Vangelo si manifesta nella sua stessa vita. Preghiamo la Vergine Maria, affinché la Chiesa veda moltiplicarsi gli uomini e le donne che, come santo Stefano, sanno dare una testimonianza convinta e coraggiosa del Signore Gesù.

(Benedetto XVI - Angelus del 26 dicembre 2012)

Una missione da realizzare

Ci sono vari gruppi di persone – le folle, i pubblicani e i soldati – che sono toccati dalla predicazione di Giovanni Battista e allora gli chiedono: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10). Che cosa dobbiamo fare? Questa è la domanda che fanno. Fermiamoci un po’ su questo interrogativo. Esso non parte da un senso del dovere. Piuttosto, è il cuore toccato dal Signore, è l’entusiasmo per la sua venuta che porta a dire: cosa dobbiamo fare? Giovanni dice: “Il Signore è vicino” - “Che cosa dobbiamo fare?”. Facciamo un esempio: pensiamo che una persona cara stia venendo a trovarci. Noi la aspettiamo con gioia, con impazienza. Per accoglierla come si deve puliremo la casa, prepareremo il pranzo migliore possibile, magari un regalo… Insomma, ci daremo da fare. Così è con il Signore, la gioia per la sua venuta ci fa dire: che cosa dobbiamo fare? Ma Dio eleva questa domanda al livello più alto: cosa fare della mia vita? A cosa sono chiamato? Che cosa mi realizza? Nel suggerirci questo interrogativo, il Vangelo ci ricorda una cosa importante: la vita ha un compito per noi. La vita non è senza senso, non è affidata al caso. No! È un dono che il Signore ci consegna dicendoci: scopri chi sei, e datti da fare per realizzare il sogno che è la tua vita! Ciascuno di noi – non dimentichiamolo – è una missione da realizzare. Allora, non abbiamo paura di chiedere al Signore: che cosa devo fare? Ripetiamogli spesso questa domanda. A ciascuno è rivolta una parola specifica, che riguarda la situazione reale della sua vita. Questo ci offre un insegnamento prezioso: la fede si incarna nella vita concreta. Non è una teoria astratta. La fede non è una teoria astratta, una teoria generalizzata, no, la fede tocca la carne e trasforma la vita di ciascuno. E allora, in conclusione, chiediamoci: che cosa posso fare concretamente? In questi giorni, mentre siamo vicini al Natale. Forse ho un perdono da chiedere o un perdono da dare, una situazione da chiarire, un debito da saldare. Magari ho trascurato la preghiera e dopo tanto tempo è ora di accostarmi al perdono del Signore. Fratelli e sorelle, troviamo una cosa concreta e facciamola! Ci aiuti la Madonna, nel cui grembo Dio si è fatto carne.

(Papa Francesco, Angelus del 12 dicembre 2021)

Nel Cinquantesimo della Parrocchia

Carissimi amici della nostra Parrocchia San Leonardo,

恭喜 (Gong Xi =congratulazioni siamo a 50!)

Che bello ricordare insieme quest’anniversario, un momento per ringraziare insieme il Signore per tutti questi anni di Grazia.

Devo molto alla Parrocchia: ho imparato dalle persone che ho incontrato ad essere amato e a vivere affidandomi a Dio ogni giorno.

La parrocchia è stata la mia seconda casa; forse la prima se confrontiamo le ore trascorse a giocare in Oratorio, a partecipare alle catechesi, a cantare, o a pregare in Chiesa.

Mi spiace non poter partecipare alla festa del Cinquantesimo di persona, ma volevo unirmi anch’io ai festeggiamenti con questo semplice messaggio da Hong Kong. Se sono qui in Cina come missionario del PIME, in gran parte lo devo alla fede ricevuta in famiglia e in Parrocchia. Sono stato fortunato ad aver incontrato Cristo nella mia vita, attraverso persone che con la loro amicizia, la loro cura, la loro preghiera, il loro sorriso, me lo hanno fatto vedere, sentire, toccare, gustare e amare.

“Cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato: alzerò’ il calice della salvezza”

Diventare sacerdote missionario è stato il modo per ringraziare il Signore e tutti gli angeli che ho incontrato nella mia vita, cercando di trasmettere agli altri la gioia che ho ricevuto, una gioia che, nonostante le difficoltà e le fatiche, fa gustare e vivere la Vita cento volte di più.

Durante le vacanze in Italia ho la possibilità’ di rivedervi in Parrocchia, di sentirmi a casa e ricaricarmi di gioia.

Tante persone che mi hanno aiutato e accompagnato nella vita, purtroppo ci hanno già lasciato; sono certo che sono lassù insieme al Signore.

Chiedo umilmente al Signore di benedire la parrocchia e, soprattutto i parrocchiani, che ne sono l’anima. Prego per chi è ammalato o nella sofferenza. Il Signore Gesù che è buono e conosce i desideri del nostro cuore, ci faccia sentire la sua presenza, ci dia sapienza, coraggio e amore per il prossimo.

Un abbraccio a tutti

天主保佑 (tianzhu baoyou = Il Signore ci benedica)

Padre Fabio

(missionario del P.I.M.E.)

Tra passato, presente e futuro

Mercoledì 8 dicembre celebreremo i primi 50 anni della storia della nostra parrocchia. Lo faremo accogliendo l’arcivescovo Mario che viene a visitarci. Sarà una visita breve, ma sarà anche un anticipo di quella che, nei prossimi mesi di gennaio-febbraio del 2023 sarà la visita pastorale del Vescovo al decanato Cagnola-Gallaratese-Quarto Oggiaro, di cui sono il decano. Per ora il Vescovo viene ad accompagnarci a condividere con noi quello che vogliamo esprimere con il cammino che faremo insieme, accompagnati dalla intercessione di Maria che invocheremo nella preghiera: partiremo da dove è iniziato il cammin della parrocchia, la chiesetta della Madonnina presso la Casa del Giovane, per raggiungere la chiesa parrocchiale di San Leonardo, ma anche guardando avanti, sguardo sulle torri di Cascina Merlata ci fa intravedere il futuro. I ricordi del passato, il presente che ci convoca nella comunità che ascolta la Parola e celebra l’Eucaristia, che lo fa con lo sguardo su quel “sì” di Maria a cui chiediamo di sostenere i nostri “sì” al Signore e guardando al futuro. Il futuro non è solo Cascina Merlata, il futuro è il domani di questo nostro quartiere, destinato a cambiare, il futuro è il dopo di noi di questo nostro quartiere al quale noi, noi tutti battezzati e battezzate, siamo chiamati a portare, con Maria, Gesù. Allora dai ricordi devono nascere i propositi che consegniamo anche a chi poi dovrà tradurli in progetti, perché la comunità cristiana non resti sempre solo in luogo dove si viene, ma anche un luogo da dove si parte per andare. Come Gesù ha detto un giorno ai Dodici, ma non vale solo per loro, vale per tutti: perché restiate con me e perché andiate a portare il mio Vangelo al mondo. La nostra parrocchia sia come la casa di Nazareth dove Maria accoglie il dono del figlio Gesù per donarlo al mondo, anche noi accogliamo Gesù tra noi per portarlo a tutti.

Don Andrea

Il Natale di chi soffre

Quasi appartato dalla grande storia, il Verbo di Dio si è fatto carne e il Figlio di Dio ha cominciato a imparare come si vive da figlio dell’uomo. Ha imparato, come tutti i bambini, a parlare, a camminare, a pregare, a giocare. Possiamo immaginare che, crescendo a Nàzaret, abbia dovuto imparare a conoscere anche il dolore, a vedere la sofferenza di amici, parenti, vicini di casa. Come ha dimostrato da grande, Gesù si è fatto vicino ai malati e ai tribolati con un cuore pieno di compassione. Nel cuore del Figlio di Dio sono entrati i sentimenti più belli dei figli degli uomini! Perciò in questo Natale Gesù si fa vicino anche a te. Se Natale arriva mentre si è malati, non viene neppure la voglia di partecipare alle feste: quel dolore che non dà requie, quella diagnosi che preoccupa, quella terapia che “butta a terra”, quegli effetti collaterali che mettono in imbarazzo. Anche la compagnia chiassosa e il rito dei regali forse sono più causa di fastidio che di letizia. Ma Gesù è entrato nella storia senza disturbare: in una notte di ordinaria monotonia, in un rifugio rimediato per l’emergenza, deposto nel lettuccio inusuale di una mangiatoia. Il Figlio di Dio è entrato così nella storia dei figli degli uomini. Sono certo che può entrare così anche nella tua storia: con discrezione e delicatezza, con parole buone e silenzio attento ad ascoltare, con il tratto lieve che asciuga le lacrime. Gesù entra in ogni casa dove c’è una pena, in ogni vita segnata dal dolore e vi porta non solo la consolazione palliativa che procura un momento di sollievo, ma offre la comunione che rende partecipi della vita di Dio, la vita eterna.

(Estratto dalla “Lettera ai malati” dell’Arcivescovo)

Nella tribolazione la speranza

La pandemia ha ferito, sospeso, inquietato tutti i popoli della terra e invaso tutti i Paesi. Il nostro Paese e la nostra terra hanno vissuto mesi drammatici e alcuni vivono questo tempo di ripartenza con l’atteggiamento di chi ha chiuso una parentesi e ritorna alla vita normale, mentre altri con un’inquietudine che accompagna ogni attività.

I Vescovi delle Diocesi di Lombardia hanno inviato un messaggio ai fratelli e alle sorelle di questa nostra terra, Una parola amica, che suggerisce percorsi di sapienza. Imparare a pregare: alla presenza del Signore, docili allo Spirito di Gesù. Imparare a pensare: in un contesto di slogan obbligatori e di notizie selezionate per gli interessi di chi sa chi, esercitando un pensiero critico, che si interroga sul senso di quello che capita e sulle responsabilità che ci chiamano. Imparare a sperare oltre la morte: affermando la fede nella risurrezione di Gesù e nella nostra risurrezione, per contrastare la visione disperata di una mentalità diffusa arrendevole di fronte alla morte, che ritiene saggezza la rassegnazione e cura palliativa la distrazione. Imparare a prendersi cura: apprezzando le molte forme di solidarietà che in tanti ambiti professionali ed ecclesiali sono sovrabbondate, fino all’eroismo, mettere a frutto quello che si è sperimentato sull’importanza del prendersi cura della persona e non solo dell’incremento

tecnico e scientifico della cura. In questo tempo di prova e di grazia la proposta pastorale intende convocare la comunità cristiana perché non si sottragga alla missione di essere un segno che aiuta la fede e la speranza, proponendo il volto di una Chiesa unita, libera e lieta come la vuole il nostro Signore e Maestro Gesù, che è vivo, presente in mezzo a noi come l’unico pastore e che vogliamo seguire fino alla fine, fino a vedere Dio così come egli è.

(Sintesi dalla proposta pastorale 2021-2022 dell’Arcivescovo Mario Delpini)

Chi non crederà sarà condannato

Gesù può affermare frasi del genere? Ebbene sì, questa è Parola di Dio e queste sono le sicurissime parole di Gesù. Rimane ancora una domanda: “Gesù può mentire?”, ovviamente no! Allora se queste parole sono proprio quelle di Gesù e se Lui non può mentire significa che ci sta dicendo che il vero spartiacque nella vita di ogni uomo è proprio la fede in Cristo. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” e “chi non crederà sarà condannato”. Gesù è molto chiaro. L’ha detto una volta risorto da morte e prima di ascendere al Cielo alla destra del Padre. Vorremmo osare non considerare queste parole? Potremmo superficialmente dire: “Eh ma… Gesù è venuto per salvare, mica per condannare!”. È vero, infatti Lui vuole che tutti gli uomini siano salvati, ma l’uomo può opporsi a questo dono non volendo credere e farsi battezzare. Solo liberamente e senza alcuna costrizione si può accogliere la grazia del Signore: ogni atto di amore, se è veramente tale, non può che essere libero. Cosa significa “essere condannato”? In che senso la Chiesa ha interpretato questa frase di Gesù? Nel modo più realistico: significa separato da Cristo, separato da Dio, separato dalla vita eterna, dalla felicità perenne. Su ogni uomo pesa la condanna del peccato originale che ha prodotto questa separazione da Dio, solo Cristo può toglierla e salvarci. Colui che non crede in Gesù, pur avendolo conosciuto, rimane nella condanna dalla quale Lui solo può liberarci.

In alto i cuori.

Don Luigi

Siamo tempio del Dio vivente

Forse non capiremo mai abbastanza il dono del nostro battesimo: diventare figli di Dio! Solo uno è il Figlio del Padre, figlio per natura. Noi siamo figli adottivi, perché partecipiamo alla stessa gloria dell’Unigenito Figlio di Dio e perché ereditiamo la gioia della vita eterna. Non si tratta di una realtà che acquista efficacia solo dopo la morte. Già da subito siamo figli di Dio e “lo siamo realmente”, dice San Giovanni apostolo. Non si tratta di un simbolo, o di un’immagine metaforica, no. È realmente così: siamo figli di Dio, siamo stati divinizzati grazie al fonte battesimale nel quale siamo stati immersi. Ora, però, sta a noi non sprecare questa grazia. Siamo, sì, figli di Dio, ma tocca a noi vivere da figli. Se non viviamo da figli, non potremo godere dell’eredità che Dio ha previsto per noi. È un dono grandissimo, ma anche una responsabilità elevatissima. Il battesimo ci mette davanti un grande incarico: rimanere fedeli a Dio che è dentro di noi. Sì, perché dall’interno, col Suo Spirito, il Padre ci ama e trasforma tutto il nostro essere. A noi è chiesto di rimanere nel suo amore grazie alle nostre scelte libere di tutti i giorni. Posso, in effetti, avere in me questa domanda: “Tutto ciò che penso, dico e faccio è nell’amore di Gesù?”. O ancora: “Gesù con quale amore penserebbe, direbbe, farebbe tutto ciò?”. Rimanendo nel suo amore rimaniamo in lui; rimanendo in lui siamo in comunione con tutta la Trinità e diventiamo Tempio del Dio vivente, luogo della presenza di Dio nel mondo che tanto ha bisogno di essere liberato dall’unico Salvatore Gesù Cristo.

In alto i cuori!

Don Luigi

"Tu sei geloso perché sono buono?"

Abbiamo da poco festeggiato la memoria di santa Teresina di Lisieux. Al suo tempo, e nello stesso suo convento, aleggiava una spiritualità che metteva l’accento sulla giustizia di Dio sottovalutando la misericordia Sua. Scaturivano così degli atteggiamenti religiosi e comunitari di un certo rigorismo, che spingevano ad una ascesi senza amore, a una vita fraterna senza amicizia, a una vita devota senza passione. La Santa non si è lasciata avvolgere da queste tendenze, ma ha voluto rimanere fedele al Vangelo di Gesù.

La parabola che leggiamo questa domenica ci aiuta a capire che a tutti è data la possibilità di ricevere la grazia di Dio, che non ci sono dei privilegiati o dei predestinati. Siamo tutti chiamati a lavorare nella vigna del Signore e, se accogliamo tale chiamata e ci mettiamo al lavoro, anche se iniziamo tardi, riceveremo lo stesso salario.

Oggi, forse, ci troviamo nella difficoltà inversa. Nei nostri tempi si mette tanto l’accento sulla misericordia, ma poco sulla giustizia di Dio. Si fa fatica, infatti, ad ascoltare di-scorsi sul tema dell’inferno, del peccato, della condanna, della penitenza. Si pensa che la libertà conti poco, si dice: “Tanto Dio è buono e perdona”. Ci si può approfittare così della bontà Sua, offendendoLo gravemente. Gesù manifesta, attraverso la parabola, di essere sia giusto che misericordioso: giusto perché riconosce a ciascuno il merito del lavoro svolto dando il salario pattuito; misericordioso perché dà, anche agli operai dell’ultima ora, la stessa somma di denaro - pur avendo loro lavorato di meno. Gesù è giusto: dà a ciascuno il suo; ed è misericordioso: fa di ciascuno di noi il Suo prediletto, se accettiamo la Sua chiamata. Lodiamo il Signore perché grande è la sua misericordia e lodiamolo perché non smette di essere giusto nei confronti dei suoi poveri servi.

In alto i cuori.

Don Luigi

Mater mea, fiducia mea

È iniziato il mese di ottobre, le temperature estive si allontanano, ma viene a scaldarci il battito materno del Cuore Immacolato di Maria. I colori dei nostri giardini a breve cambieranno, ma in noi rimane vivo, nonostante le avversità della vita, il verde del suo seno, nel quale possiamo riposare.

Il 7 ottobre celebreremo la Regina del Santo Rosario; il 13 ottobre ricorderemo l’ultima apparizione di Maria Santissima a Fatima, Madonna del Rosario: tutto il mese è segnato dalla grazia di queste due date così importanti. Lo stesso Beato Bartolo Longo istituì la preghiera della supplica della Madonna di Pompei proprio nella prima domenica di ottobre a mezzogiorno, in onore della festa del Rosario, e il giorno 8 maggio in onore dell’apparizione di San Michele Arcangelo, che nel V secolo è apparso proprio in questa data sul Gargano.

Anche noi, come il Beato, vogliamo accostare alla preghiera del Rosario quella di San Michele. L’Arcangelo, con le sue armi spirituali, difende, infatti, la discendenza della nostra Santa Madre, che siamo noi. Vogliamo riconoscere e chiedere il suo aiuto invocandolo alla fine della recita della corona mariana che precede ogni santa Messa. Utilizzeremo la preghiera di San Leone XIII per chiedere la conversione dei peccatori e il trionfo della santa Chiesa.

Non resta che augurarvi buona preghiera, forti del supporto spirituale del Cielo.

In Alto i cuori!

Don Luigi

Io sono il pane vivo disceso dal cielo

La Messa è una delle più grandi opere di Dio. Con l’Eucarestia, viene celebrato sull’altare il sacrificio della croce col quale Cristo, nostro agnello, è stato immolato. Nell’Eucarestia, Gesù dona lo stesso corpo che ha consegnato sulla croce e lo stesso sangue che ha versato per la remissione dei nostri peccati. L’Eucarestia rende presente il sacrificio della croce applicandone i frutti salvifici: il perdono dei nostri peccati quotidiani. Il sacrificio di Cristo e dell’Eucarestia sono, infatti, un unico sacrificio. Queste poche parole bastano per indicarci la via della nostra la devozione eucaristica. L’ostia che adoro e che possibilmente mangio è il corpo di Cristo alla Croce. La Santa Messa domanda uno spirito di adorazione elevatissimo e la devozione più fervente possibile. Il nostro corpo deve conformarsi, durante alla preghiera, a ciò che misteriosamente accade: è chiamato a mettersi in ginocchio davanti a Lui e a ricevere l’Eucarestia con la più grande attenzione. L’ostia deve essere ricevuta con estrema cura, in uno spirito di pentimento, abbassando prima il capo in segno di rispetto per Gesù quando si arriva davanti al sacerdote: non devono rimanere frammenti di ostia sulla mano né sulle dita (è importante sempre verificare e nel caso mangiare); non si deve fare la comunione camminando, ma a fianco al sacerdote immobili e guardando la Croce, facendo memoria di ciò che si sta assumendo: il suo corpo crocifisso; dopodiché è bene riprendere il proprio posto continuando ad adorare il Signore in noi. Non saranno mai troppi il rispetto e la devozione che possiamo avere nei confronti di questo cibo venuto dal cielo per la nostra salvezza. Aiutiamoci a vicenda a non passare come dei ciechi davanti al mistero che celebriamo insieme ogni domenica, ma poniamo la nostra mente e il nostro corpo nella buona attitudine perché il nostro cuore si riempia d’amore per il nostro Salvatore.

In alto i cuori.

Don Luigi

Ripartire dalla salvezza

In questi tempi così avversi e controversi siamo chiamati a ripartire. La confusione impera e non ci aiuta a capire dove ci troviamo e dove stiamo andando. Dal punto di vista materiale sembra anzi che talvolta ci manchi la terra sotto i piedi, ma è proprio così? Per i cristiani il nostro avvenire è anche il nostro presente. Noi siamo destinati alla salvezza se, mettendoci dietro Gesù, pratichiamo i suoi comandamenti. Non dimentichiamoci, d’altro canto, che “in speranza” siamo già salvati. “In speranza” significa che - credendo in nostro Signore e amandolo con tutto noi stessi, senza mai tralasciare l’amore del prossimo - la salvezza, grazie al Battesimo, ci è data già oggi.

Da dove ripartire dunque? Dal dono della salvezza, dal futuro beato che ci attende. Dove andare quindi? Verso la salvezza, che non è un bene da raggiungere domani, ma da ottenere oggi. Siamo stati salvati, ma non possiamo dirci sicuri di custodire questo dono se non viviamo secondo l’insegnamento di nostro Signore. Colui che non ha ancora voluto credere in Lui cominci a farlo e, se non battezzato, chieda questo sacramento e riceverà in dono la salvezza. Chi è già stato salvato da Gesù non perda questa grazia, anzi, la custodisca preziosamente. La nostra prima occupazione della vita dovrebbe essere quella di rendere a Dio ogni onore e gloria; la seconda quella di non dispiacergli in nulla.

Ripartiamo, quindi, dal nostro destino che è già presente se mettiamo al primo posto Dio nella nostra vita e teniamo sempre in mano il presente della nostra salvezza che ci è stata regalata.

In alto i cuori!

Don Luigi

Non temere, Santa Chiesa di Dio che sei in Milano

Mentre si avvia questo nuovo anno pastorale, ancora segnato dall’incertezza e dall’inquietudine per la pandemia che ci ha duramente colpito, anche a tutti noi l’angelo del Signore annuncia: non temere, santa Chiesa di Dio che sei in Milano! Non temere la tristezza, non temere la solitudine, non temere lo smarrimento, non temere la costatazione che il gregge si sia disperso, che risorse e forze siano diminuite. Non temere! Sii lieta! La tua gioia, infatti, viene dal Signore e dall’amicizia con lui, dalle sue confidenze: queste cose vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Non temere, continua a lodare il Signore fin dal mattino, continua a ringraziare il Signore, ogni sera. Se c’è tristezza nella Chiesa, deriva forse da uno zelo senza preghiera, da un affaticarsi senza rimanere in Gesù come il tralcio nella vite. Chiedo a tutti i fedeli, chiedo a tutti i consacrati, chiedo ai nonni e ai genitori di pregare e di insegnare a pregare perché tutti possano attingere alla fonte della gioia che non delude, perché è una fonte zampillante per la vita eterna. Mentre si avvia questo anno pastorale in un contesto di frenesia per la ripresa, di comunicazioni selezionate per occultare le radici profonde dei drammi del nostro tempo, non temere, santa Chiesa di Dio, di annunciare che la buona notizia del Salvatore non è una generica astrazione, ma è il vangelo della famiglia, il vangelo della vocazione, il vangelo della vita eterna. Non temere di essere libera, anche a costo di essere impopolare per seguire il tuo Signore che non ha cercato la gloria del mondo ma la fedeltà a Colui che lo ha mandato. (...) Non temere di accogliere il dono dello Spirito che raduna i molti perché siano una cosa sola. Il Padre ascolta la preghiera del Figlio: che siano una cosa sola. Possiamo quindi avere fiducia che anche la pre-ghiera nostra sia esaudita. “Dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (Preghiera Eucaristica III). L’unità dei credenti è frutto della docilità piuttosto che dell’organizzazione: impariamo ancora a pregare! (…) Conti-nuiamo con pazienza, fiducia, umiltà a costruire comunità in cui si viva la carità e si offra a tutti la parola che convoca i fratelli e le sorelle di ogni chiesa, di ogni comunità di ogni popolo intorno all’unico Signore. Mentre si avvia il nuovo anno pastorale vorrei essere anch’io un angelo del Signore per dire ancora a tutti: non temete. Non temete di farvi avanti per la vocazione ad essere ministri ordinati. Non temete di essere pietre vive perché la nostra Chiesa sia unita, libera, lieta.

(Estratto dall’omelia di inizio anno pastorale dell’Arcivescovo di Milano - 8 settembre 2021)

Nello Stato Pontificio

L'attività spesso intensa del nostro predicatore non ostacolò mai uno degli impegni da lui coltivati: l'accompagnamento spirituale di molte persone. Le sue vibranti predicazioni inducevano moltissimi a confessarsi o ricorrere a lui. Quando si trovava lontano da costoro, sopperiva alla distanza con le lettere, da cui emerge grande misericordia e dolcezza nei confronti dei peccatori pentiti. Nelle pause delle missioni, non solo si appartava nei Ritiri o seguiva spiritualmente le anime: era un apprezzato conferenziere in vari monasteri di monache, per le quali compose un piccolo trattato di meditazione “Manuale Sacro” e alle quali raccomandava di diventare missionarie con lui: “Io con le parole e loro con la preghiera”. I continui spostamenti, i sacrifici e le privazioni cominciarono a incidere sulla salute del frate, che però ribadiva ai collaboratori che il suo riposo sarebbe stato in Cielo, ma finché sulla terra lui avrebbe continuato a lavorare. Nel 1740 fra Leonardo compì una delle sue missioni più note, quella a Roma: pare che all'ultima predicazione fossero presenti ben 50.000 persone e fu seguita direttamente anche dal nuovo Papa Benedetto XIV. Seguirono poi altre missioni nel Lazio e in Campania fino a che, nel 1743, fece ritorno a Porto Maurizio dopo molti anni di assenza. Da qui partì per nuove missioni nel territorio ligure: Sanremo, Finale ligure, Genova per poi attraversare il mare e approdare in Corsica. Qui dovette presto abbandonare, con suo grande dolore, la missione appena intrapresa a causa di un incidente che lo vide ferirsi durante un incendio in una delle chiese in cui stava predicando. L'amicizia con il Santo Padre intanto cresceva e, appena ripresosi dall'incidente, fra Leonardo non solo riprese le sue predicazioni in Italia, ma ottenne anche da Benedetto XIV di erigere una grande Via Crucis presso il Colosseo, sancendo così la santità di quel luogo di martirio e impedendone la distruzione perpetrata da chi ne asportava i marmi per costruire altri edifici. Fra Leonardo concluse la sua vita mortale durante una missione, lavorando per il Regno di Dio fino alla fine dei suoi giorni. Le sue spoglie mortali sono conservate a Imperia, nella Collegiata di San Maurizio e Compagni. La sua ricorrenza liturgica cade il 26 novembre; la sua città lo elesse a proprio patrono nel 1991. In tutta la sua vita San Leonardo da Porto Maurizio predicò oltre 340 missioni popolari.

Nello Stato Pontificio

Ogni luogo particolarmente isolato era prediletto da fra Leonardo, per le sue pause, tra una missione e l'altra. Nel mese di luglio del 1730 il religioso si trovava in preghiera sull'isolotto di Gorgona, al largo della costa livornese e fu raggiunto dalla notizia che il Papa voleva incontrarlo. Nell'intimo del suo cuore non voleva recarsi a Roma, perché la considerava un luogo di di-strazione, ma di fronte all'invito del Santo Padre non si poteva tergiversare e qualche mese dopo, all'inizio dell'autunno, si presentò al Papa: Clemente XII voleva che l'umile frate predicasse in tutto lo Stato Pontificio. Fra Leonardo intraprese così un lungo apostolato di missioni che lo portarono, sempre rigorosamente a piedi scalzi, in quasi tutto il Lazio, l'Umbria e gran parte delle Marche. Alle sue infuocate predicazioni avvenivano anche conversioni eclatanti. Si recò spesso ad Assisi, soggiornando soprattutto in quel luogo così confacente al suo spirito, che era l'Eremo delle Carceri, sepolto nel verde del Monte Subasio.

Nel periodo dal 1735 al 1738, alla piccola équipe che accompagnava fra Leonardo nelle missioni, si aggiunse uno dei suoi fratelli (nato dal secondo matrimonio del padre), che si era fatto francescano a Roma, fra Antonio da Porto Maurizio: in alcune sue lettere egli mostrava la sua ammirazione per il fratello, che riteneva un ottimo religioso e che amava profondamente. Nell'anno 1738 fra Leonardo fu invitato a ritornare a Firenze per una serie di predicazioni, che gli diedero l'opportunità di rivedere volti amici, tra gli abitanti e i frati conosciuti anni addietro. Tutte queste preziose notizie sono giunte a noi, grazie al puntuale diario redatto dall'inseparabile fra Diego.

A sostegno della fede

Tutto questo minuzioso lavoro predicatorio mirava alla conversione per un rinnovato impegno di vita cristiana. In serata vi era in chiesa l'esposizione dell'Eucarestia, con un momento di adorazione guidata, a volte seguita da una processione penitenziale, col simulacro del Cristo morto. Tutto doveva catturare l'attenzione e coinvolgere i fedeli; la predicazione era concreta e densa di contenuto, affinché potesse toccare il cuore e la vita di tutti. Solitamente la missione terminava con le confessioni, la benedizione con l'indulgenza plenaria e una processione mariana. Un aspetto che nella storia della Chiesa ha sempre interpellato i missionari itineranti era la domanda su come alimentare la perseveranza dopo l'esperienza delle missioni. Fra Leo-nardo rispose all'interrogativo proponendo sovente nei luoghi dove si era tenuta la missione, l'iniziativa degli esercizi spirituali parrocchiali. In quelle occasioni, il frate, ritornato nei luoghi che lo avevano visto predicatore missionario, approfittava per visitare i carcerati e gli infermi. Proponeva infine alla popolazione di entrare a far parte di qualche associazione religiosa o confraternita; ciò avrebbe fatto un gran bene alla loro perseveranza. Ultimo atto delle missioni al popolo era l'edificazione di una Via Crucis, come invito a percorrerne i tratti, meditando ed incidendo nel cuore la memoria del dono della salvezza (dicono gli storici che fra Leonardo, in tutta la sua vita, ne eresse oltre seicento).

Le missioni iniziate in Liguria e proseguite in Toscana quando fra Leonardo aveva trentacinque anni, videro come primi teatri d'azione i paesi di Pitigliano, Soano, Prato e Impruneta; seguirono altre predicazioni a ritmo sostenuto, nel lucchese, nell'aretino, verso la costa e nei territori di Volterra, Pescia, Chiusi, San Miniato, Pistoia. Così passarono gli anni 1712-1715.

Nuova itineranza

Dopo i primi anni di predicazione delle missioni popolari in territorio toscano, iniziò per fra Leonardo un periodo di anni assai fecondo e impegnativo; era tra i predicatori più ricercati e famosi in tutta Italia. A lui però importava solo di ricondurre alla fede coloro che si erano allontanati, di avviare il ravvedimento dei peccatori, di riconciliare le parti avverse, di sostenere le pratiche cristiane nella fedeltà e continuità. A partire dal 1731, il nuovo campo d'azione di fra Leonardo sarà lo Stato Pontificio. La lunga permanenza nei territori pontifici fu motivata da esplicita richiesta pervenutagli dalla stessa Santa Sede. Tuttavia, prima di recarsi al cospetto del Papa Clemente XII, dal 1717 al 1730, predicò oltre cento missioni: gran parte delle quali in Toscana, ma anche nella sua amata terra, giungendo a Rapallo e a Santa Margherita Ligure. Questi tredici anni così intensi, come sappiamo, alternavano allo svolgimento delle missioni popolari, nel consueto metodo, prolungati tempi all'eremo di Santa Maria dell'Incontro o al Ritiro di Monte alle Croci. Con fra Leonardo vi era sempre l'inseparabile fra Diego, che fu attento testimone e osservatore di tutta l'attività apostolica del confratello. Fra Leonardo, come si è detto, al termine di ogni predicazione sollecitava e organizzava l'edificazione di una Via Crucis, a ricordo della missione: il mistero della Passione per lui non era soltanto un segno visibile dell'amore divino, ma soprattutto ciò di cui si alimentava, che viveva nel suo più intimo. A tale proposito, nei Proponimenti, scrisse: “In quanto alla Santa Croce, mi abbraccerò spesso con essa, la terrò in una mano viaggiando e anche dormendo; la Passione del Signore la mediterò notte e giorno; procurerò di praticare la Via Crucis ogni giorno. E perché la memoria della Passione del buon Gesù si stabilisca nel cuore degli uomini, introdurrò dappertutto il santo esercizio della Via Crucis”.

A sostegno della fede

Tutto questo minuzioso lavoro predicatorio mirava alla conversione per un rinnovato impegno di vita cristiana. In serata vi era in chiesa l'esposizione dell'Eucarestia, con un momento di adorazione guidata, a volte seguita da una processione penitenziale, col simulacro del Cristo morto. Tutto doveva catturare l'attenzione e coinvolgere i fedeli; la predicazione era concreta e densa di contenuto, affinché potesse toccare il cuore e la vita di tutti. Solitamente la missione terminava con le confessioni, la benedizione con l'indulgenza plenaria e una processione mariana. Un aspetto che nella storia della Chiesa ha sempre interpellato i missionari itineranti era la domanda su come alimentare la perseveranza dopo l'esperienza delle missioni. Fra Leonardo rispose all'interrogativo proponendo sovente nei luoghi dove si era tenuta la missione, l'iniziativa degli esercizi spirituali parrocchiali. In quelle occasioni, il frate, ritornato nei luoghi che lo avevano visto predicatore missionario, approfittava per visitare i carcerati e gli infermi. Proponeva infine alla popolazione di entrare a far parte di qualche associazione religiosa o confraternita; ciò avrebbe fatto un gran bene alla loro perseveranza. Ultimo atto delle missioni al popolo era l'edificazione di una Via Crucis, come invito a percorrerne i tratti, meditando ed incidendo nel cuore la memoria del dono della salvezza (dicono gli storici che fra Leonardo, in tutta la sua vita, ne eresse oltre seicento). Le missioni iniziate in Liguria e proseguite in Toscana quando fra Leonardo aveva trentacinque anni, videro come primi teatri d'azione i paesi di Pitigliano, Soano, Prato e Impruneta; seguirono altre predicazioni a ritmo sostenuto, nel lucchese, nell'aretino, verso la costa e nei territori di Volterra, Pescia, Chiusi, San Miniato, Pistoia. Così passarono gli anni 1712-1715.

Un'opera incessante

Tutto era ormai pronto per l'inizio di una missione; non mancavano nemmeno il simulacro del Cristo morto e un'immagine della Vergine, con due grandi crocifissi. Fra Leonardo in questo tipo di apostolato non poteva essere solo; secondo la tradizione e le regole dei predicatori, la missione doveva coinvolgere diversi confratelli sia nelle prediche, nelle confessioni e nelle celebrazioni, sia nell'organizzazione delle incombenze anche pratiche. In Toscana egli fu affiancato da un frate non sacerdote, fra Diego da Firenze che, oltre a figlio spirituale, divenne segretario “tuttofare” e inseparabile compagno di missione. Costui dal 1724 iniziò a comporre il Diario delle missioni, testo preziosissimo che documenta l'opera infaticabile di fra Leonardo. L'inizio di ogni missione coincideva con l'esposizione solenne del Crocifisso, quasi ad indicare che la missione era la straordinaria visita del Redentore per accogliere e convertire i cuori dei peccatori e che tutta la missione non era altro che una lunga contemplazione della Passione e Morte del Signore, che richiamava tutti ad un ravvedimento sincero, in vista del perdono sacramentale. Fra Leonardo alternava la predicazione nelle piazze a quotidiane celebrazioni nelle chiese. La giornata delle missioni era così organizzata: in mattinata un'istruzione catechistica, poi nel primo pomeriggio una predica sull'Eucarestia che preludeva al grande sermone del tardo pomeriggio. I temi riguardavano i punti essenziali della dottrina cristiana, in una mirabile sintesi tra fede e vita.

Missioni al popolo

La missione al popolo era una metodica oratoria già in uso nella Chiesa, e i vari istituti religiosi proponevano perlopiù due forme di predicazione itinerante: una più catechistica, l'altra più moraleggiante e penitenziale. Fra Leonardo ideò un metodo nuovo: parlare ai fedeli, incontrandoli sulle piazze e sui loro luoghi di vita quotidiana, mediante un dialogo franco e diretto. Redasse nel 1712 un vero e proprio regolamento: le missioni popolari dovevano durare almeno quindici giorni e avevano lo scopo di far riscoprire alla gente l'importanza dei sacramenti, che sgorgano dai misteri della Passione di Cristo, senza i quali non vi è rinnovamento e salvezza. Altra novità da lui portata era che si sarebbe recato in un luogo solo dietro esplicito invito dei vescovi e dei parroci, quindi per obbedienza, anticipando la missione con un lungo periodo di preghiera in un Ritiro. Parte importante della missione era anche il modo di presentarsi dei missionari: dovevano dare buon esempio di preghiera, di povertà e di penitenza, rifiutando ogni tipo di offerta e preparandosi in anticipo a livello dottrinale e catechetico. Leonardo iniziò questo fecondo apostolato, raggiungendo il luogo di missione sempre a piedi. Appena giungeva, incontrava il clero e le autorità civili, per farsi illustrare la situazione sociale e religiosa degli abitanti. Un'altra iniziativa previa alla predicazione era la scelta dei cosiddetti “pacieri”, ossia di persone pie ed oneste del luogo, che lo avrebbero coadiuvato nel tentativo di ristabilire la conciliazione tra opposte fazioni o singoli oppositori. Se nei paraggi del luogo vi erano monasteri femminili, incontrava le suore per invitarle a pregare per il buon esito della missione. Per sé faceva trasportare alcune casse, contenenti libretti di preghiera e oggetti devozionali da distribuire alla gente, alcuni effetti personali, materiale di approfondimento dei temi da trattare nelle prediche, infine alcuni strumenti penitenziali e un teschio.

Monte alle croci

Intanto, nell'anno 1707, fra Leonardo predicò un quaresimale a Genova. Si rese disponibile nelle parrocchie della diocesi di Albenga per le missioni al popolo, un tipo di ministero apostolico che aveva riscoperto sulla scia di San Bernardino da Siena – la cui predica-zione aveva lasciato segni indelebili in Liguria – e di San Vincenzo Ferreri. La sua prima attività oratoria missionaria partì dal paese di Artallo, a due passi dalla sua città. Sebbene ancora convalescente, fu infaticabile, benché sentisse la necessità di pause di riflessione prolungate da trascorrere nei cosiddetti Ritiri. Fu proprio lui a suggerire ai confratelli di dar vita a un Ritiro nella Provincia Francescana Ligure e i superiori assegnarono proprio a lui la realizzazione del progetto del convento di San Bernardino in Albenga.

A causa di questa iniziativa Leonardo ebbe dissapori con i frati di Porto Maurizio e alla fine dovette lasciare la sua città. La Divina Provvidenza tracciò per lui un'altra strada! A Roma i superiori francescani vennero a sapere che il granduca Cosimo III di Toscana desiderava avere un Ritiro nella città di Firenze, da farsi nel convento di Monte alle Croci, accanto alla Basilica di San Miniato e a Piazzale Michelangelo. Così fra Leonardo fu destinato proprio a quel convento. Era l'8 settembre 1709.

Dal convento di Monte alle Croci fra Leonardo avrebbe iniziato la sua attività apostolica di grande respiro: avrebbe esteso l'esperienza ligure alla predicazione missionaria con l'erezione e la pratica della Via Crucis a gran parte dell'Italia centrale, e questa forma di apostolato lo avrebbe caratterizzato, reso famoso e ricercatissimo per tutta la sua esistenza.

Ritorno in patria

Fra Leonardo soffriva seriamente di problemi polmonari e visto che non aveva trovato giovamento alcuno nei conventi dove era stato inviato, i suoi superiori decisero, nel 1704, di mandarlo nella più salubre cittadina natia. Il ritorno a Porto Maurizio fu emozionante, perché fra Leonardo vi mancava da ben quattordici anni! Abbracciò il caro padre e i fratelli, ma la sua salute non migliorò affatto, tanto da temere per la sua vita. Si abbandonò allora all'intercessione di Maria Santissima, venerata nel Santuario di Piani, e in poco tempo guarì. Il giovane francescano a Porto Maurizio risiedeva nel convento dell'Annunziata, dove sarebbe rimasto fino al 1709. La sua nuova richiesta di partire missionario non fu esaudita dai superiori, ma venne autorizzato a predicare nei paesi circostanti la sua città. Egli presto capì che per sollecitare un vero rinnovamento della vita di fede della gente, il mezzo forse più efficace poteva essere una predicazione popolare itinerante, semplice e incisiva, che prediligesse i temi dei sacramenti e dei misteri della Passione e della Croce di Nostro Signore. Si ricordò del progetto realizzato dall'amico sacerdote don Bruno Bartolomeo, delle edicole che descrivevano alcuni episodi della Passione di Gesù: rielaborò alcuni testi meditativi sul mistero della croce già in uso presso i Francescani, dai quali riprese e riformulò anche la struttura delle quattordici stazioni della Via Crucis, così come oggi in tutto il mondo vengono percorse e meditate. Non solo: dal progetto passò alla realizzazione della pia pratica, proprio sul piazzale davanti al convento dell'Annunziata, dove impiantò per la prima volta la Via Crucis, con quattordici piccole edicole illustrate. Introdusse e creò infine la tradizione di praticare ogni seconda domenica del mese la Via Crucis, meditando sui momenti della Passione del Signore, a grande edificazione dei partecipanti.

Frate minore

Il 2 ottobre 1697 Paolo Girolamo fu rivestito dell'abito francescano e gli fu posto il nome di fra Leonardo da Porto Maurizio. Il noviziato fu un anno intenso e sereno, nel quale il novizio imparò a vivere tutti gli aspetti della spiritualità francescana. Al termine esatto di quell'anno, fra Leonardo fece la Professione Religiosa solenne.

La sua prima destinazione fu il prediletto convento di San Bonaventura al Palatino a Roma, un luogo appartato e tranquillo con studio teologico sul famoso colle, attorniato dagli scavi del Foro Romano e a due passi dal Colosseo e dal Campidoglio. Fra Leonardo accettò volentieri questa destinazione, anche perché nel suo animo giovanile già si notavano due inclinazioni naturali: una particolare propensione per la predicazione e l'oratoria e contemporaneamente un forte desiderio di solitudine e di vita appartata, dedicata alla meditazione a alla preghiera. Tutta la sua vita sarà infatti un felicissimo binomio di queste due anime in apparenza contrastanti. Il tempo trascorso al Ritiro sul colle Palatino consentì a fra Leonardo di contemplare il mistero della Passione e della Croce, tanto approfondito in quel secolo.

Intanto il giovane fra Leonardo il 24 settembre 1701 divenne diacono. Presentò una prima richiesta ai superiori di partire missionario per la Cina, ma la risposta fu negativa ed allora chiese di essere missionario in Svizzera, nelle terre di Lucerna, per contrastare l'avanzata protestante. Anche in questo caso la risposta fu un deciso no.

Il 23 settembre 1702 venne ordinato sacerdote e fu subito nominato professore di Filosofia. Fu una parentesi breve, perché fra Leonardo cadde malato e fu trasferito dapprima a Napoli, nel convento della Croce di Palazzo, e poi a Vallecorsa, per godere di un clima più salubre.

Giovinezza e vocazione

Nella vita di Paolo Girolamo Casanova, a tredici anni avvenne un fatto determinante per le scelte future: a causa del proseguimento degli studi e per accedere a corsi superiori di prestigio in vista della professione medica che la famiglia aveva deciso per lui, fu mandato dal padre a Roma, presso un prozio di nome Agostino. Fu nell'estate del 1690 che il nostro adolescente si trasferì nella capitale, alloggiando in via del Pavone. Non era molto lontano dall'Oratorio della Chiesa Nuova, voluto da San Filippo Neri. Dapprima frequentò una scuola privata, poi passò a studiare al Collegio Romano dei Padri Gesuiti. Alla Chiesa Nuova conobbe un ottimo direttore spirituale nella persona del padre Girolamo Grifonelli. Grazie al padre oratoriano che lo consigliava e alla scuola dei Gesuiti, Paolo Girolamo ebbe un'ottima preparazione intellettuale, umana e spirituale. Pregava intensamente e iniziò piccole ma pesanti pratiche penitenziali e tutto questo lasciava presagire una vocazione, che di lì a poco si sarebbe manifestata. Spesso intratteneva i passanti, nelle piazzette della città, con catechesi sulla dottrina cristiana, come era consuetudine presso gli studenti dei Gesuiti, che preparavano così i giovani migliori alle “battaglie oratorie”: Poteva sembrare scontato che Paolo Girolamo sarebbe entrato tra le fila degli Oratoriani o dei Gesuiti, invece conobbe gli ideali francescani di umiltà e povertà e se sentì attratto. Appena espresse il suo desiderio, in famiglia si scatenò una vera e propria tempesta! Dopo vari colloqui con i frati, e alla conclusione del corso di studi superiori, Paolo Girolamo, nel settembre del 1697, fu accolto dai frati Riformati nel convento di San Francesco a Ripa. Per il noviziato fu mandato nel convento dell'Ordine a Ponticelli (Rieti), lontano dal frastuono cittadino, dove ebbe come maestro un quasi concittadino, nella persona del padre Cristino da Oneglia.


Paolo Girolamo Casanova

Porto Maurizio nel XVII secolo era una cittadina ligure nota sia per la sua prospera attività marittima, sia per coltivazione dell'ulivo e la commercializzazione del suo ottimo olio non solo nel Mediterraneo ma anche oltreoceano. Arroccata su un promontorio, la città, come balcone fiorito che sembra gettarsi in mare, il 20 dicembre dell'anno 1676 diede i natali a colui che sarebbe diventato il suo più importante e illustre figlio: San Leonardo. Battezzato lo stesso giorno della nascita nell'insigne Collegiata di San Maurizio e Compagni martiri, e registrato come Paolo Girolamo Casanova, aveva per genitori Domenico Casanova e Anna Maria Benza. Domenico apparteneva ad una famiglia di origine genovese, della Polcevera, mentre Anna Maria Benza proveniva da una ricca famiglia portoriana. I Casanova possedevano una barca di modeste dimensioni, chiamata nel luogo “tartana”, e con alcuni marinai alla loro dipendenza commerciavano sulle coste liguri. La gioia familiare per la nascita del piccolo Paolo Girolamo non durò a lungo, perché in meno di tre anni la giovanissima madre venne a mancare: morì infatti, poco più che ventenne, di tubercolosi o, secondo altre fonti, di febbre malarica. Il padre, profondamente religioso, rimase solo col figlioletto e cercò di trovare conforto all'immenso dolore nella preghiera e nella fede.

Il contesto religioso della città di Porto Maurizio, come di molte altre località italiane e liguri, era contrassegnato da una forte devozione per la Passione di Gesù e questo fatto avrebbe inciso in modo decisivo sulla crescita spirituale del piccolo Paolo Girolamo. La sua infanzia trascorse nei vicoletti del centro di Porto Maurizio, non lontano da un monastero di Clarisse dotato di un giardino terrazzato sul promontorio della città, ben visibile dal mare e riconoscibile sulla costa per via dei caratteristici suoi portici coperti.

Porto Maurizio ospitava pure un bel convento dei frati Francescani Osservanti, intitolato alla Santissima Annunziata. Il nostro protagonista amava frequentare le chiese della città, e a sette anni iniziò la scuola pubblica eccellendo in ogni materia. Parallelamente fu iscritto al catechismo parrocchiale, che all'epoca usava proporre pubbliche dispute per saggiare la preparazione dei partecipanti. A valutare queste gare di catechesi, vi era una commissione nella quale spiccava il priore della Confraternita della Dottrina Cristiana. Anche qui Paolo Girolamo si distinse su tutti e ad esserne sinceramente contento era il parroco arciprete della Collegiata, Don Vincenzo Rossi.

Il nostro Paolo Girolamo conobbe un altro insigne sacerdote locale, don Bartolomeo Bruno, che, dopo un suo pellegrinaggio in Terra Santa, volle edificare sul colle prospiciente alla città – che poi battezzò Monte Calvario – una bella chiesa. Per raggiungerla, lungo la salita fece costruire otto piccole edicole che illustravano scene dei Vangeli riferite alla Passione, così come aveva osservato a Gerusalemme. Paolo Girolamo era attratto da questo luogo.

Nel frattempo, nel 1683, il padre convolò in seconde nozze con Maria Riolfo, da cui ebbe sette figli.

Testimoni dell'opera di Dio

Ringrazio don Andrea e don Luigi, che mi hanno invitato a celebrare con voi il 28° anniversario della Consacrazione di questa Chiesa, dedicata a S. Leonardo da Porto Maurizio, santo importante per aver dato un impulso determinante alla predicazione delle Missioni popolari in molte città italiane e promosso l'Esercizio della Via Crucis.

È il 28° compleanno della consacrazione della Chiesa in muratura, ma non quello della comunità del San Leonardo, nata nel 1971, cioè 50 anni fa.

Allora si radunava nella Chiesetta della Casa del Giovane, messa a disposizione della nascente parrocchia dalla straordinaria generosità di don Abramo, un santo sacerdote, che fece della preghiera, dell'accoglienza amorevole dei giovani e della fiducia nella Provvidenza i cardini della sua attività e santità.

La chiesetta di don Abramo era già frequentata da alcune persone del quartiere. Potremmo dire che era il periodo della gestazione della comunità di S. Leonardo, nata appunto nel 1971. Quella nascita, nella povertà (la ricordo bene perché giunsi l'anno seguente) è stata provvidenziale, perché ci si ritrovava in Chiesa. Attorno all'altare, attorno a Gesù, si è formata, è cresciuta nella fede, nella carità, nell'unità con l'entusiasmo di famiglie giovani, dei ragazzi e dei giovani, sotto lo sguardo della Madonna, che ancora oggi troneggia sull'altare.

Non serve ricordare le fatiche e i disagi. Bisogna ricordare quanto la Provvidenza del Signore ha operato. Venne finalmente la Chiesa, questa Chiesa, nel 1988, consacrata nel 1993.

Il brano di S. Paolo, che abbiamo ascoltato, ci ha suggerito di scoprire le perfezioni invisibili, ossia l'eterna potenza di Dio, contemplando le opere della creazione.

Noi, oggi, siamo in grado di comprendere le opere invisibili di Dio, contemplando il cammino della nostra comunità.

Lo possono confermare coloro che l'hanno vissuta fin dall'inizio e sono qui come testimoni. (Bisogna sempre saper scoprire la presenza di Dio anche nella propria vita!).

La Provvidenza, che ha guidato il cammino, è riassunta in una parola fondamentale: la Provvidenza di Dio Padre. Al termine del Vangelo ascoltato, che è un'insistente richiesta di affidarsi al Signore e alla sua Provvidenza, in qualsiasi momento della vita, Gesù ci assicura: “Il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il suo Regno e queste cose vi saranno date in aggiunta. Il Padre sa.

Quando è stata consacrata la Chiesa, nella prima preghiera, il Card. Martini, allora Arcivescovo, pregò Dio a nome nostro, invocandolo come Padre: “Padre santo, luce e vita di ogni creatura, nel tuo immenso amore per gli uomini, non solo li sostieni con la tua Provvidenza ma, con l'effusione del tuo Spirito, li purifichi dai peccati e li riconduci sempre a Cristo, Capo e Signore”.

E continuò: “Concedi ai tuoi fedeli raccolti in questa chiesa e a quanti in futuro vi celebreranno i santi misteri, di giungere insieme nella Gerusalemme del cielo”.

È la storia di questa comunità in cammino, che come ha chiesto Gesù nel vangelo ha cercato e sta cercando di rendere presente in questo quartiere il Regno di Dio, cioè il suo amore, la sua giustizia, il rispetto e l'accoglienza per ogni uomo e donna.

Molti hanno già raggiunto la mèta e tutta la comunità, come una famiglia, deve ricordarli e ringraziarli perché, pur con fragilità e difetti, come tutti abbiamo, si sono lasciati guidare dalla Provvidenza del Padre e hanno fatto crescere, qui, il Regno di Dio.

Riprendo una parola della prima orazione della Consacrazione: “Padre, nella tua provvidenza, li riconduci a Cristo”. Ecco l'altare, il centro del quartiere, il centro della comunità. Qui c'è Gesù!

Nella preghiera di Consacrazione dell'Altare, l'Arcivescovo ha pregato così: “Per celebrare il memoriale del sacrificio di Cristo riunisci il tuo popolo, con amore di Padre, intorno alla mensa del tuo figlio: guarda questo altare preparato per celebrare i tuoi misteri”.

Vorrei ricordare una parola della seconda Preghiera Eucaristica: “Per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo”.

Non solo il tempio in muratura è sacro... ma anche il popolo di Dio, noi!

La preghiera di consacrazione dell'altare continua infatti così: “Dona a noi, tuoi fedeli, che ci accostiamo a Cristo pietra viva, di essere in lui edificati in tempio santo”.

Allora avviene un mistero: la Chiesa in muratura consacrata è qui, stabile, ma simbolo della Chiesa vivente, la vera Chiesa consacrata, la comunità, che unita a Gesù vive le vie della città con lo stile di Cristo, che qui ha incontrato e ascoltato, che qui si è unita in comunione con Lui e tra i fratelli.

Chi vi vede venire qui, probabilmente si domanderà: dove va quell'uomo, quella donna, quel ragazzo, quel giovane? Che cosa c'è lì di così interessante? Forse non sanno dare una risposta, ma si stupiranno vedendovi ritornare con la serenità e la gioia, vedendo comportamenti differenti di quelli della cultura attuale, comportamenti evangelici, di cui ha bisogno la società. È questo il modo di evangelizzare e di rendere sempre più presente il Regno di Dio nel quartiere e nei luoghi della vita quotidiana: qui, noi, popolo di Dio, ci incontriamo con la Provvidenza amorosa del Padre, con l'amore di Gesù che ci accoglie così come siamo, con lo Spirito Santo che ci santifica. Questo è il mio augurio, felice di vedere le molte opere di Dio.

Dall'omelia di Don Sandro Villa in occasione del 28° anniversario di consacrazione della Chiesa - 5/6/2021

Gesù eucarestia

San Tarcisio (III sec. d. C.), dodicenne, subì il martirio per proteggere la Santissima Eucarestia dalle mani dei dissacratori. Preferì la morte pur di non dare il possesso del corpo di Cristo a chi lo avrebbe profanato. Era giovanissimo, ma già grande nelle fede per capire che la vita di Cristo vale più della nostra. Il santo romano ci insegna che si deve lottare fino allo stremo delle forze pur di difendere le sacre specie. Oggi troveremmo, non dico dodicenni, ma adulti pronti a sacrificare la propria vita per un’ostia? La fede nell’eucarestia non sta perdendo quel valore che i padri della Chiesa e i santi ci hanno trasmesso? Ci prepariamo adeguatamente a ricevere il santissimo corpo di Gesù Cristo? Riusciremmo a dire come i nostri antenati: “Senza la domenica non possiamo vivere!”?

Aiutiamoci a vicenda perché la Santa Messa diventi il momento più alto della nostra giornata, della nostra settimana e della nostra vita. Facciamo delle nostre celebrazioni un momento sacratissimo, perché Gesù eucarestia riceva l’adorazione a Lui dovuta quale Dio e Signore nostro. Per quanto possiamo, inchiniamoci davanti a Lui col corpo e col cuore; veniamo durante la giornata a prendere un tempo di adorazione eucaristica davanti al tabernacolo; desideriamo il momento della comunione come ciò che di più bello può esserci; prepariamoci a ricevere l’ostia con grande devozione e non tralasciamo mai la necessità di essere in grazia di Dio per poterlo ricevere. Seguiamo le orme dei santi che cantavano con la voce e la vita le meraviglie ammirabili del Santissimo Sacramento.

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1359: L'Eucaristia, sacramento della nostra salvezza realizzata da Cristo sulla croce, è anche un sacrificio di lode in rendimento di grazie per l'opera della creazione. Nel sacrificio eucaristico, tutta la creazione amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la risurrezione di Cristo. Per mezzo di Cristo, la Chiesa può offrire il sacrificio di lode in rendimento di grazie per tutto ciò che Dio ha fatto di buono, di bello e di giusto nella creazione e nell'umanità.

CCC 1360: L'Eucaristia è un sacrificio di ringraziamento al Padre, una benedizione con la quale la Chiesa esprime la propria riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici, per tutto ciò che ha operato mediante la crea-zione, la redenzione e la santificazione. Eucaristia significa prima di tutto: «Azione di grazie».

CCC 1361: L'Eucaristia è anche il sacrificio della lode, con il quale la Chiesa canta la gloria di Dio in nome di tutta la crea-zione. Tale sacrificio di lode è possibile unicamente attraverso Cristo: egli unisce i fedeli alla sua persona, alla sua lode e alla sua intercessione, in modo che il sacrificio di lode al Padre è offerto da Cristo e con lui per essere accettato in lui.

Siano lodati Gesù e Maria!

Lunedì 31 maggio sarà la festa della Visitazione concludendo il mese di Maria e giovedì 3 giugno festeggeremo la solennità del Corpus Domini. Quale rapporto c’è tra Gesù e Maria? Gesù vince, Gesù regna, Gesù trionfa. Queste frasi esprimono la nostra fede in Gesù Re che espugna ogni avverso potere. Noi possiamo proclamare che la fede della Sempre Vergine non ha mai dubitato, neanche sotto la croce, davanti a suo Figlio crocifisso, mai! Sapeva che Gesù avrebbe vinto la morte e il peccato perché l’arcangelo Gabriele le aveva detto che dal suo grembo sarebbe nato colui il cui regno non avrebbe avuto mai fine. Gesù regna ancora oggi, perché mai ha smesso di farlo, nono-stante tutto ciò che si oppone alla giustizia, pace e amore di tale Regno.

La Madonna, a Fatima, ha detto che il suo Cuore Immacolato trionferà. Come può avvenire tale trionfo? Maria, perfettamente unita a Gesù, partecipa della sua vittoria. Va da sé quindi che coloro che vivono una vera devozione a Maria possono con lei e in lei vincere con Cristo nel Suo regno. Non possiamo mai pensare l’uno senza l’altra: Gesù si è incarnato nel seno di Maria; in lei ha effuso su Giovanni Battista lo Spirito; tra le braccia della Madre di Dio è stato adorato per la prima volta dai pastori e glorificato dagli angeli il giorno della natività; nel balsamo del suo tenero amore Gesù muore sulla croce; alla presenza della Madre di Dio Gesù dal cielo effonde il Suo Spirito; e infine, tornando a questa settimana, quando Gesù eucarestia è presente sull’altare e in tutti i tabernacoli del mondo Maria è lì, con Lui, ad adorarlo per prima e, quale Madre della Chiesa, ad invitare ogni cristiano a fare lo stesso con lei. L’Immacolata intercede senza sosta presso suo Figlio; attraverso di lei ogni grazia scende su di noi dal cielo; con lei e in lei possiamo custodire il bene che Dio effonde su ciascuno di noi. Siano lodati Gesù e Maria! Sempre siano lodati!

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1365: In quanto memoriale della pasqua di Cristo, l'Eucaristia è anche un sacrificio. Il carattere sacrificale dell'Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell'istituzione: «Questo è il mio Corpo che è dato per voi» e: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,19-20). Nell'Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha «versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28).


CCC 1367: Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico sacrificio: «Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi». «E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che "si offrì una sola volta in modo cruento" sull'altare della croce, [...] questo sacrificio è veramente propiziatorio».


CCC 1368: L'Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa. La Chiesa, che è il corpo di Cristo, partecipa all'offerta del suo Capo. Con lui, essa stessa viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di tutti gli uomini. Nell'Eucaristia il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo. Il sacrificio di Cristo riattualizzato sull'altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta.

Il lievito e la farina

Tra lo Spirito Santo e Maria vi è una tale compenetra-zione difficile da immaginare. C’è forse una realtà della nostra vita quotidiana che ci può aiutare a capire quanto sia importante l’unione tra il Paraclito e la Santa Vergine: il lievito e la massa di farina lievitata. Il lievito agisce nella farina fino a diventare una sola cosa con il pane che sarà sfornato. Così è lo Spirito Santo in Maria, che dà vitalità e forma alla sua esistenza dal momento del suo concepimento, preparandola alla Divina Maternità, rendendola Madre di Dio e partecipe della santificazione delle membra della Chiesa.

Maria SS. è la Sposa indivisibile dello Spirito Santo al punto da diventare con Lui in ogni azione una sola mente, un solo cuore, un solo amore, una sola opera-zione.

Maria è il capolavoro dello Spirito Santo. Conoscendo Maria possiamo conoscere colui che l’ha resa così bella, così amorevole, così buona, così vera. La Madonna è tuttasanta per grazia divina, lo Spirito Santo è Tuttosanto per natura divina.

Ogni opera della vita della Sempre Vergine ha come causa invisibile lo Spirito Santo. Ogni grazia effusa nel mondo dallo Spirito Santo passa attraverso le mani di Maria.

Non stanchiamoci di invocarla, di chiederle aiuto e protezione, di intercedere presso di lei. Diventiamo anche noi sempre più come lei: farina lievitata dalla delicata verità dell’amore dello Spirito Santo. Che Maria sia il nostro modello perché camminiamo come lei nello Spirito.

In Alto i cuori.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 767: «Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra, il giorno di pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa». Allora «la Chiesa fu manifestata pubblicamente alla moltitudine [ed] ebbe inizio attraverso la predicazione e la diffusione del Vangelo». Essendo «convocazione» di tutti gli uomini alla salvezza, la Chiesa è missionaria per sua natura, inviata da Cristo a tutti i popoli, per farli discepoli.

CCC 768: Perché la Chiesa possa realizzare la sua missione, lo Spirito Santo «la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, con i quali la dirige». «La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo Fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, di umiltà e di abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio».

CCC 798: Lo Spirito Santo è «il principio di ogni azione vitale e veramente salvifica in ciascuna delle diverse membra del corpo». Egli opera in molti modi l'edificazione dell'intero corpo nella carità»: mediante la Parola di Dio «che ha il potere di edificare» (At 20,32); mediante il Battesimo con il quale forma il corpo di Cristo; mediante i sacramenti che fanno crescere e guariscono le membra di Cristo; mediante la grazia degli Apostoli che, fra i vari doni, viene al primo posto; mediante le virtù che fanno agire secondo il bene, e infine mediante le molteplici grazie speciali (chiamate «carismi»), con le quali rende i fedeli «adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al rinnovamento della Chiesa e allo sviluppo della sua costruzione».

Vieni, Santo Spirito, vieni per Maria

Che ruolo ha la Santissima Vergine Maria nell’accoglienza dello Spirito Santo da parte dei credenti? Perché è importante che Maria interceda per noi affinché riceviamo la potenza che viene dall’Alto? Perché a Pentecoste, con gli Apostoli, Maria assume un ruolo fondamentale?

La nostra vita nello Spirito Santo non può prescindere da Maria. Chi vuole camminare secondo lo Spirito è bene che chieda il cuore a Maria e dia a lei il proprio. La Trinità Santissima ha scelto la Madonna per l’Incarnazione del Verbo proprio perché Immacolata Concezione; l’ha voluta Madre e sempre Vergine, perché fosse testimonianza della divinità di Gesù suo Figlio; l’ha unita a Lui durante la Passione perché partecipasse attivamente e oggettivamente alla Redenzione dell’umanità; l’ha voluta a fianco ai dodici apostoli perché la sua presenza attirasse lo Spirito su questi discepoli impauriti e con poca fede. Alla presenza di Maria gli Apostoli hanno ricevuto la forza di annunciare il Vangelo; contemplandola avvolta dall’Amore dell’Altissimo hanno accolto la potenza che scendeva su di loro.

La purezza della Madre Santissima attira sulla Chiesa la Santità dello Spirito, la sua verginità attira sui discepoli di Cristo la forza della fede; la sua obbedienza attira su di noi la potenza dell’annuncio della Risurrezione.

Dio ha previsto così, non possiamo opporci ai piani divini. Maria, ancora oggi, non solo intercede per noi, ma santifica la nostra vita con la sua presenza di Madre, attira nei cuori che sono suoi il dono dello Spirito Santo. Non stanchiamoci dunque di ripetere quanto più possiamo, durante questa novena di Pentecoste: “Vieni Santo Spirito, Vieni per Maria”.

In alto i cuori.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 723: In Maria, lo Spirito Santo realizza il disegno misericordioso del Padre. È per opera dello Spirito che la Vergine concepisce e dà alla luce il Figlio di Dio. La sua verginità diventa fecondità unica in virtù della potenza dello Spirito e della fede.

CCC 724: In Maria, lo Spirito Santo manifesta il Figlio del Padre divenuto Figlio della Vergine. Ella è il roveto ardente della teofania definitiva: ricolma di Spirito Santo, mostra il Verbo nell'umiltà della sua carne ed è ai poveri e alle primizie dei popoli che lo fa conoscere.

CCC 725: Infine, per mezzo di Maria, lo Spirito Santo comincia a mettere in comunione con Cristo gli uomini, oggetto dell'amore misericordioso di Dio. Gli umili sono sempre i primi a riceverlo: i pastori, i magi, Simeone e Anna, gli sposi di Cana e i primi discepoli.

CCC 726: Al termine di questa missione dello Spirito, Maria diventa la «Donna», nuova Eva, «Madre dei viventi», Madre del «Cristo totale». In quanto tale, ella è presente con i Dodici, «assidui e concordi nella preghiera» (At 1,14), all'alba degli «ultimi tempi» che lo Spirito inaugura il mattino di pentecoste manifestando la Chiesa.

Mese di maggio, mese di Maria

Nel mese di maggio i fiori sbocciano esalando il loro profumo e abbellendo di colori i nostri giardini. Maria è la “Rosa delle rose, fiore dei fiori, donna fra le donne, unica signora, luce dei santi e dei cieli via”, diceva Alfonso X, re di Castiglia e Leon, nel XIII secolo.

San Filippo Neri, nel XVI secolo, insegnava ai suoi giovani, nel mese di maggio, a circondare di fiori l’immagine di Maria, cantando le sue lodi e facendo mortificazioni in suo onore.

A partire dal XVII secolo cominciano a svilupparsi le devozioni a Maria non solo per il primo di maggio e le domeniche, ma tutti i giorni: si cantavano le litanie e s’incoronavano di fiori le statue di Maria.

Il mese di maggio assume l’appellazione di “mese di Maria”, nel XVIII secolo, con il padre gesuita Annibale Dionisi che sprona a viverlo non solo nelle Chiese ma anche nei luoghi quotidiani di vita attraverso la preghiera del Rosario, la meditazione dei misteri, un fioretto e una giaculatoria.

Tale e tanta devozione a Maria come si spiega? Il Montfort con poche parole risponde a questo quesito in maniera inequivocabile: “Dio Padre riunì le acque e le chiamò mare; riunì tutte le grazie e le chiamò Maria”. Perché non tuffarci in questo mare, aggiungo io?

Anche nella nostra comunità pastorale vogliamo dare valore a questo mese mariano, pregando il Rosario non solo in Chiesa ma anche nei luoghi quotidiani e nei cortili ai piedi dei nostri condomini. Come ottenere grazia senza l’aiuto di Maria? Come avere l’aiuto suo senza pregare il Rosario? Invitiamoci a pregare il Rosario e abbelliamo i nostri cortili ponendo una statua di Maria avvolta dai fiori più belli. Offriamo fioretti e ripetiamo tutto il giorno giaculatorie come questa: “Vieni Santo Spirito, Vieni per Maria”.

“Vi prego vivamente, per l’amore che vi porto in Gesù e Maria, di recitare il Rosario tutti i giorni, perché al momento della vostra morte, benedirete il giorno e l’ora in cui m’avrete creduto”. Con queste parole il Montfort invitava a pregare questa preghiera così bella. Perché non ascoltare la sapienza dei santi?

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 971: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). «La pietà della Chiesa verso la santa Vergine è elemento intrinseco del culto cristiano». La santa Vergine «viene dalla Chiesa giustamente onorata con un culto speciale. In verità dai tempi più antichi la beata Vergine è venerata col titolo di "Madre di Dio", sotto il cui presidio i fedeli, pregandola, si rifugiano in tutti i loro pericoli e le loro necessità. [...] Questo culto [...], sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione, prestato al Verbo incarnato come al Padre e allo Spirito Santo, e particolarmente lo promuove»; esso trova la sua espressione nelle feste liturgiche dedicate alla Madre di Dio e nella preghiera mariana come il santo Rosario, «compendio di tutto quanto il Vangelo».

CCC 1674: Oltre che della liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la catechesi deve tener conto delle forme della pietà dei fedeli e della religiosità popolare. Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che accompagnano la vita sacramentale della Chiesa, quali la venerazione delle reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la «via Crucis», le danze religiose, il Rosario, le medaglie, ecc.

CCC 2708: La meditazione mette in azione il pensiero, l'immaginazione, l'emozione e il desiderio. Questa mobilitazione è necessaria per approfondire le convinzioni di fede, suscitare la conversione del cuore e rafforzare la volontà di seguire Cristo. La preghiera cristiana di preferenza si sofferma a meditare «i misteri di Cristo», come nella lectio divina o nel Rosario. Questa forma di riflessione orante ha un grande valore, ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano: alla conoscenza d'amore del Signore Gesù, all'unione con lui.

Verità

Siamo liberi quando scegliamo il bene a cui tende la nostra volontà. Talvolta per raggiungerlo sono richiesti sforzi immani. Pensiamo ai martiri che, volendo scegliere l’adorazione dell’unico Dio di Gesù Cristo, hanno preferito la morte pur di non appoggiare il male dell’idolatria. Per sapere dove stia il bene, la volontà ha bisogno dell’intelligenza che cerca, scopre, indica la sua verità. Si giunge a libertà, dunque, grazie al lavoro dell’intelligenza che indica alla volontà il vero bene da perseguire.

Capiamo che il nostro intelletto ha un ruolo fondamentale nella nostra vita. Solo quando non è oscurato possiamo giungere alla bontà della nostra vita. Cosa può oscurare la nostra intelligenza? Il peccato! Il nostro e quello della società.

Pilato chiese a Gesù, durante il processo che lo condannerà a morte: “Cos’è la verità?”. Il governatore non ricevette risposta da parte del Signore. Infatti, per trovarla, avrebbe dovuto, semplicemente, conformarsi alla realtà: Gesù era chiaramente innocente, i giudei per invidia e odio lo volevano uccidere, la folla era evidentemente istigata. Raggiunte queste evidenti verità, avrebbe dovuto volgere la sua volontà verso la liberazione di Gesù e, con la sua libertà, avrebbe dovuto dare disposizione alle guardie di togliergli le catene e mandarlo a casa. Così non fa, perché vuole evitare sommosse e scontri. Capisce che far morire Gesù gli avrebbe assicurato una certa pace politica, anche se solo apparente. Con il suo peccato di voler preservare il suo potere e la sua comoda autorità non ha voluto conformarsi alla realtà, non ha voluto aderire con la sua volontà alla verità, e ha sacrificato la sua libertà (scegliere il bene) diventando schiavo del suo peccato di vanità.

Sono tempi nei quali dobbiamo essere lucidi nei confronti della realtà che ci circonda per non porre come Pilato scelte che uccidono la verità.

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 2482: «La menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare». Nella menzogna il Signore denuncia un'opera diabolica: «Voi [...] avete per padre il diavolo [...]. Non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44).


CCC 2483: La menzogna è l'offesa più diretta alla verità. Mentire è parlare o agire contro la verità per indurre in errore. Ferendo il rapporto dell'uomo con la verità e con il suo prossimo, la menzogna offende la relazione fondamentale dell'uomo e della sua parola con il Signore.


CCC 2484: La gravità della menzogna si commisura alla natura della verità che essa deforma, alle circostanze, alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne sono vittime. Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale, diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità.

Libertà

Lo stato di emergenza, a causa della pandemia, continua ad essere prorogato. Sembra che, nonostante una conoscenza più certa del virus e tutti i mezzi “vaccinali” che si stanno adottando, nulla cambi. Non è questo il luogo per soffermarsi sulla bontà o meno delle decisioni politico-sanitarie italiane e mondiali. A noi è chiesto di riflettere su ciò che Dio sta permettendo.

Possiamo chiederci: “Cosa vuole dirci il Signore lasciando i suoi in mezzo a questa situazione dove la libertà interiore ed esteriore di ogni uomo è così minata?”. Non vorrà forse ricordarci che solo la verità ci rende liberi?! Non vorrà ribadire che solo un cuore volto interamente a Dio, un cuore convertito, cioè un cuore che ha orrore del peccato e accetta di amare il Crocifisso Risorto sopra ogni cosa può sperimentare la vera libertà?!

L’umanità, in mano a dirigenti smarriti e dagli atteggiamenti contradditori, sta arrancando. Il sentimento di non essere liberi aumenta sempre più nei cuori di molti. Un desiderio di libertà emerge fortemente. Se continueremo a pensare che la libertà sia assecondare le proprie voglie, che per ripo-sarsi basti andare in vacanza, che la pace sia solo quella fisica-carnale, che il piacere non abbia regole, che basti la salute per essere felici, che sia sufficiente avere un salario per risolvere tutti i problemi della vita, continueremo a illuderci.

Noi crediamo, infatti, che la libertà sia compiere la volontà di Dio; il riposo vero sia solo in cielo; la pace senza mistificazioni sia quella dell’anima e del cuore; il piacere pieno sottostia alle regole della vita e dell’amore; la felicità dipenda dalla salvezza della persona; il benessere materiale sia buono quando i problemi spirituali sono risolti.

Impariamo a leggere i segni dei tempi!

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 2488: Il diritto alla comunicazione della verità non è incondizionato. Ognuno deve conformare la propria vita al precetto evangelico dell'amore fraterno. Questo richiede, nelle situazioni concrete, che si vagli se sia opportuno o no rivelare la verità a chi la domanda.

CCC 2489: La carità e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di informazione o di comunicazione. Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno che non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla.

CCC 2492: Ciascuno deve osservare il giusto riserbo riguardo alla vita privata delle persone. I responsabili della comunicazione devono mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze del bene comune e il rispetto dei diritti particolari. L'ingerenza dell'informazione nella vita privata di persone impegnate in un'attività politica o pubblica è da condannare nella misura in cui viola la loro intimità e la loro libertà.

CERCASI

Paolo e Sila vengono arrestati, spogliati, bastonati, incarcerati e legati (cf. At 16,22-34). La loro missione sembra conclusa, la loro speranza delusa, la loro fede annullata. Invece non è così. Nel bel mezzo della notte, quando qualsiasi uomo si sarebbe accasciato, non solo per il sonno, ma anche per lo scoraggiamento e la paura, i due discepoli di Gesù cominciano a cantare inni a Dio, pregando. Ecco manifestata la forza del vero credente che vede la luce anche nel buio, scorge una via di uscita anche in un tunnel senza aperture, cammina sapendo di poter trovare la strada.

I loro inni si elevano a Dio e, nella più profonda angoscia, anche gli altri prigionieri, strabiliati, ascoltano e si lasciano raggiungere da queste parole elevate all’Altissimo, come se anch’essi potessero condividere della stessa grazia che abitava il cuore di Paolo e di Sila. Proprio in quel momento, nel buio della notte e nel freddo delle celle, Dio interviene e il terremoto viene così forte da scuotere le fondamenta, far aprire le porte e le catene di tutti. La libertà fisica sopraggiunge per i carcerati, certo, ma soprattutto arriva la libertà spirituale per il carceriere, che di fronte a tale avve-nimento crede nel Signore Gesù e, battezzato con tutta la sua famiglia, ottiene la vita salva per l’eternità. Giungono alla gioia della vera fede che non può essere rubata.

Oggi, cercasi discepoli come Paolo e Sila che, liberi davvero, non hanno paura di essere maltrattati, incarcerati e uccisi per la fede che annunciano. Siano liberi di compiere la volontà di Dio, non senza impedimenti esterni, ma che, pur nei molteplici e dolorosi ostacoli, non si fermino da-vanti a nulla, neanche alla morte. Entrassimo anche noi in questa libertà, smettendo di dare credito a tutte quelle promesse di salvezza e di libertà che il mondo oggi ci propina falsamente, attraverso soluzioni che si rivelano, appena proposte, inefficaci, inutili e dannose. Cercasi apostoli così! In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1704: La persona umana partecipa alla luce e alla forza dello Spirito divino. Grazie alla ragione è capace di comprendere l'ordine delle cose stabilito dal Creatore. Grazie alla volontà è capace di orientarsi da sé al suo vero bene. Trova la propria perfezione nel cercare e nell'amare il vero e il bene.


CCC 1705: In virtù della sua anima e delle sue potenze spirituali d'intelligenza e di volontà, l'uomo è dotato di libertà, «segno altissimo dell'immagine divina».


CCC 1707: «L'uomo però, tentato dal maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà». Egli cedette alla tenta-zione e commise il male. Conserva il desiderio del bene, ma la sua natura porta la ferita del peccato originale. È diventato incline al male e soggetto all'errore:

«Così l'uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre».


CCC 1708: Con la sua passione Cristo ci ha liberati da Satana e dal peccato. Ci ha meritato la vita nuova nello Spirito Santo. La sua grazia restaura ciò che il peccato aveva in noi deteriorato.

Divina misericordia

Gli apostoli erano tutti scappati, a parte Giovanni. Pieni di paura e di terrore si erano distaccati dal loro Maestro e Signore. Non hanno avuto il coraggio di farsi vedere tra i discepoli di colui che molti volevano schernire, maltrattare e uccidere. Sono fuggiti rinnegandolo, Pietro per primo. Per questo motivo il primo incontro con il risorto è stato avvolto da sentimenti di timore e di incredulità.

Tommaso è fuggito così lontano che alla prima apparizione della domenica sera era assente. Il Signore però non smette di stupirci, perché trasforma la codardia dell’apostolo in strumento per rivelare il mistero della Sua Divina Misericordia. La domenica successiva, chiedendo a Tommaso di mettere il dito nel suo costato aperto, vuole fare capire a noi tutti che, se ci affidiamo alla Sua Misericordia, possiamo ritornare a credere e a camminare dietro di Lui.

Santa Faustina Kowalska ha ricevuto da Gesù proprio questa missione: aiutare la Chiesa e il mondo a far regnare Gesù sul trono della misericordia perché i più siano salvati, credendo in Lui. Anche le anime più lontane da Dio, in punto di morte avrebbero potuto ritrovarlo e farsi perdonare le proprie colpe perché non cadesse su di loro un giudizio di condanna. Dio è giustizia e misericordia. Da giusto giudice tiene conto di tutte le offese che gli abbiamo arrecato ma, da Padre misericordioso, fa di tutto per donarci il suo perdono se riconosciamo le nostre colpe.

Siamo nel tempo della misericordia, nel tempo in cui Dio attende il nostro ritorno, la nostra conversione. Il Signore ritarda il suo giudizio perché il maggior numero di anime si possa salvare ricorrendo al suo perdono. Accorriamo a Lui, e preghiamo la coroncina della Divina Misericordia, invocata su di noi per i meriti della passione di nostro Signore Gesù Cristo che abbiamo da pochissimo celebrato.

In alto i cuori!

Don Luigi

San Giovanni Paolo II sulla Divina Misericordia

Il Cuore di Cristo! Il suo "Sacro Cuore" agli uomini ha dato tutto: la redenzione, la salvezza, la santifica-zione. Da questo Cuore sovrabbondante di tenerezza santa Faustina Kowalska vide sprigionarsi due fasci di luce che illuminavano il mondo. "I due raggi – secondo quanto lo stesso Gesù ebbe a confidarle - rappresentano il sangue e l'acqua" (Diario, p. 132). Il sangue richiama il sacrificio del Golgota e il mistero dell'Eucaristia; l'acqua, secondo la ricca simbologia dell'evangelista Giovanni, fa pensare al battesimo e al dono dello Spirito Santo (cfr Gv 3,5; 4,14). Attraverso il mistero di questo cuore ferito, non cessa di spandersi anche sugli uomini e sulle donne della nostra epoca il flusso ristoratore dell'amore misericordioso di Dio. Chi anela alla felicità autentica e duratura, solo qui ne può trovare il se-greto. 

"Gesù, confido in Te". Questa preghiera, cara a tanti devoti, ben esprime l'atteggiamento con cui vogliamo abbandonarci fiduciosi pure noi nelle tue mani, o Signore, nostro unico Salvatore. Tu bruci dal desiderio di essere amato, e chi si sintonizza con i sentimenti del tuo cuore apprende ad essere costruttore della nuova civiltà dell'amore. Un semplice atto d'abbandono basta ad infrangere le barriere del buio e della tristezza, del dubbio e della disperazione. I raggi della tua divina misericordia ridanno speranza, in modo speciale, a chi si sente schiacciato dal peso del peccato.

Maria, Madre di Misericordia, fa' che manteniamo sempre viva questa fiducia nel tuo Figlio, nostro Redentore. Aiutaci anche tu, santa Faustina, che oggi ricordiamo con particolare affetto. Insieme a te vogliamo ripetere, fissando il nostro debole sguardo sul volto del divin Salvatore: "Gesù, confido in Te". Oggi e sempre. Amen

(Estratto dall’omelia del 22/4/2001, Festa della Divina Misericordia)

È VERAMENTE RISORTO!

Lode e gloria a Signore! La Pasqua è il tempo dello stupore gioioso, esultante. Il popolo del Risorto vive una festa gloriosa, cioè avvolta della luce del cielo. Come Giuseppe è testimone della nascita verginale di Gesù Bambino, così gli apostoli e le donne sono testimoni della Risurrezione gloriosa di Gesù. Accogliamo la loro testimonianza e rallegriamoci!

Solo Dio può operare una Risurrezione, ma quella di Cristo non è come tutte le altre, che lui stesso ha operato: pensiamo al figlio della vedova di Nain, o alla ragazzina dodicenne, figlia di un notabile, o ancora a Lazzaro. Grazie alla Risurrezione la loro vita terrena si è allungata, ma dopo hanno incontrato di nuovo la morte. Gesù risorto, invece, non muore più. Vive in Dio con tutta la sua umanità, vive nella Chiesa suo corpo, vive nell’Eucarestia suo Santissimo Sacramento, vive nel mio cuore grazie allo Spirito Santo, vive nel povero afflitto ingiustamente, vive nel fratello da amare, vive nella Parola di Dio da ascoltare.

Gesù è stato innalzato tra cielo e terra perché, risorto, fosse sempre in mezzo al suo popolo, e, asceso al cielo, intercedesse presso il Padre per noi. È presso di me perché trovi in lui forza e consolazione; è presso il Padre per

aprirmi la porta del cielo. È con me perché riesca ad affrontare le prove della vita; è con il Padre perché lo glorifichi in ogni situazione.

È morto per me perché io muoia per Lui; vive per me, perché io viva per Lui. La Risurrezione di Cristo è mistero di luce splendente. Nessuna tenebra può contenerla, nessun muro può ostacolarla, nessun odio può respingerla. Viviamo insieme con il Risorto, viviamo da risorti. Santa Pasqua di Risurrezione!

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 349: L'ottavo giorno. Per noi, però, è sorto un giorno nuovo: quello della risurrezione di Cristo. Il settimo giorno porta a termine la prima creazione. L'ottavo giorno dà inizio alla nuova creazione. Così, l'opera della creazione culmina nell'opera più grande della redenzione. La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima.

CCC 641: Maria di Magdala e le pie donne che andavano a completare l'imbalsamazione del corpo di Gesù, sepolto in fretta la sera del Venerdì Santo a causa del sopraggiungere del Sabato, sono state le prime ad incontrare il Risorto. Le donne furono così le prime messaggere della risurrezione di Cristo per gli stessi Apostoli. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai Dodici. Pietro, chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, vede dunque il Risorto prima di loro ed è sulla sua testimonianza che la comunità esclama: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34).

CCC 642: Tutto ciò che è accaduto in quelle giornate pasquali impegna ciascuno degli Apostoli – e Pietro in modo del tutto particolare – nella costruzione dell'era nuova che ha inizio con il mattino di pasqua. Come testimoni del Risorto essi rimangono le pietre di fondazione della sua Chiesa. La fede della prima comunità dei credenti è fondata sulla testimonianza di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a loro. Questi «testimoni della risurrezione di Cristo» sono prima di tutto Pietro e i Dodici, ma non solamente loro: Paolo parla chiaramente di più di cinquecento persone alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli Apostoli.

Prese trecento grammi di profumo

Maria di Betania prese trecento grammi di profumo di puro nardo e ne cosparse i piedi di Gesù, asciugandoli poi con i suoi capelli. La donna entrò in contatto con il corpo di Gesù. In lui, infatti, abita corporalmente la divinità, come spiega san Paolo.

Nei tempi che sono i nostri, colpisce notare questo gesto e ancora di più sentire queste parole: “contatto”, “corpo”. Le misure stringenti alle quali siamo obbligati a sottostare ci hanno fatto perdere ormai la naturale bellezza di questi momenti di vicinanza/di contatto. Al contrario, cerchiamo di stare lontano dall’altro, di prendere la distanza di sicurezza, di tenere i corpi a debita lontananza.

Il Vangelo invece ci riporta fortemente al mistero dell’Incarnazione: il Figlio di Dio è venuto in terra perché lo toccassimo e lo vedessimo. Ciò significa che noi cristiani non possiamo permettere che il mondo diventi virtuale, che le relazioni siano on line, che il contatto corporale venga a mancare, che la vista sia mediata da uno

schermo. Tutto ciò verrebbe a negare il principio dell’Incarnazione, ma non solo. È messa da parte anche la missione di Gesù affidata alla Chiesa di rendere partecipi tutti della comunione con Dio, attraverso l’annuncio cristiano, che non prevede virtualità e intelligenze artificiali, bensì la vicinanza fisica di un fratello, l’ascolto - non mediato da un altoparlante di un tablet – della Parola di Dio, la vista concreta - e non in streaming - della Santissima Eucarestia.

Non possiamo cedere alla virtualità, pena la perdita della nostra fede. Maria ha capito il senso dell’Incarnazione e si è esposta nel toccare i piedi di Gesù, sopportando le critiche più amare. Creare un mondo virtuale, porta a svalorizzare, non solo il corpo di ogni uomo, ma anche e soprattutto la carne che Cristo ha preso su di sé e che Maria di Betania ha tanto amato e venerato prima della Sua passione.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 458: Il Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l'amore di Dio: «In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui» (1 Gv 4,9). «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

CCC 460: Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4): «Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio».

«Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio». «Unigenitus [...] Dei Filius, Suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L'unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei».

Chi crede in me, anche se muore, vivrà!

È passato ormai un anno dall’inizio della pandemia. Ci potremmo chiedere: “Cosa ho imparato da questi fatti ina-spettati e drammatici?”. Diamo qualche esempio di ri-sposta. Abbiamo sicuramente avvertito che da soli non possiamo vivere: siamo infatti essere sociali e relazionali. Abbiamo capito che la nostra vita è come un filo d’erba del mattino che la sera è falciato e dissecca: basta un esserino nemico e invisibile per sconvolgerci la vita. Abbiamo compreso, una volta di più, che la libertà che ci è stata donata richiede anche responsabilità: la libertà, infatti, non è fare ciò che voglio. Ancora di più, in questi giorni, è diventato evidente che la salvezza non può venirci da un prodotto di laboratorio, come il vaccino: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” (Ger 17,5).

Quanti insegnamenti sono fondamentali, ma sopra gli altri penso ce ne sia uno. Il Vangelo di questa domenica lo specifica: “Chi crede in Me, anche se muore, vivrà”. Questa espressione di Gesù è piena di rassicurazione. Gesù non dice: “Chi crede in me vivrà”, ma “anche se muore, vivrà”. Non ci illude, non ci promette su questa terra una vita senza fine mortale. Non ci dice: “Cerca di vivere più a lungo che puoi su questa terra” o “cerca di rimanere giovane e sano”. No! Afferma che, anche se moriamo, vivremo. Ci invita a guar-dare in faccia la morte, a non sottovalutarla. Gesù dicendo: “vivrà” vuole intendere “godrà della vita felice di Dio”. Si-gnifica che è possibile non giungere, dopo la morte, a questa vita beata. Qual è, dunque, la condizione, per raggiungerla? Credere in Lui, che è Risurrezione e Vita. La morte che veramente ci deve spaventare non è quella del corpo, ma dell’anima, cioè quella nella quale possiamo essere avvolti eternamente dal rifiuto di Dio e dalla separazione definitiva da Lui.

Dopo un anno di pandemia abbiamo capito che, su questa terra, ci è dato tempo per credere in Gesù, perché riceviamo il dono della Vita eterna, attraverso la fede in Lui!

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 150: La fede è innanzi tutto una adesione personale dell`uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato. In quanto adesione personale a Dio e assenso alla verità da lui rivelata, la fede cristiana differisce dalla fede in una persona umana. È bene e giusto affidarsi completamente a Dio e credere assolutamente a ciò che egli dice. Sarebbe vano e fallace riporre una simile fede in una creatura.

CCC 151: Per il cristiano, credere in Dio è inseparabilmente credere in colui che Egli ha mandato, il suo Figlio prediletto nel quale si è compiaciuto; Dio ci ha detto di ascoltarlo. Il Signore stesso dice ai suoi discepoli: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Possiamo credere in Gesù Cristo perché egli stesso è Dio, il Verbo fatto carne: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Poiché egli «ha visto il Padre» (Gv 6,46), è il solo a conoscerlo e a poterlo rivelare.

CCC 152: Non si può credere in Gesù Cristo se non si ha parte al suo Spirito. È lo Spirito Santo che rivela agli uomini chi è Gesù. Infatti «nessuno può dire: “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3). «Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. [...] Nessuno ha mai potuto conoscere i segreti di Dio se non lo Spirito di Dio» (1 Cor 2,10-11). Dio solo conosce pienamente Dio. Noi crediamo nello Spirito Santo perché è Dio. La Chiesa non cessa di confessare la sua fede in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Come entro in chiesa?

Da un anno, ormai, la pandemia ci assedia. Da un anno la nostra vita liturgica ha subito delle modifiche. Primo fra tutti, l'ingresso nella nostra chiesa parrocchiale ha subito una profonda trasformazione. Precedentemente, subito dopo essere entrati, cercavamo l’acqua benedetta per poter fare memoria del nostro battesimo, giorno nel quale la salvezza è entrata nella nostra vita. Oggi, non è più così. L’acqua benedetta è scomparsa e, appena entrati, andiamo alla ricerca piuttosto del dispenser di igienizzante. Soffermiamoci dunque su questo aspetto. Per il momento non si può ritornare alle sante usanze precedenti, ma possiamo deciderci di entrare, pur dovendoci igienizzare le mani, con uno spirito teso all’essenziale. Sono due, infatti, gli aspetti che caratterizzano il nostro ingresso in Chiesa: il ricordo grato a Dio per il nostro battesimo e l’adorazione che è dovuta al Santissimo Sacramento. Questi due richiami fondamentali si attuano con due gesti che non possono mai mancare quando siamo alla presenza di Dio: il segno della croce e la genuflessione. Ci si segna nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo perché entrando in Chiesa faccio memoria di quel giorno in cui sono entrato a far parte della Chiesa Cattolica e sono diventato figlio di Dio. Mi genufletto verso il tabernacolo, se è possibile con il ginocchio destro a terra, con uno spirito orante per adorare Gesù sacramentato, che è realmente presente e si offre per la nostra salvezza e per la remissione dei nostri peccati. Facciamo quindi attenzione: non cadiamo nell’errore di recarci in Chiesa come se entrassimo al cinema, o in una sala del comune, o per una riunione condominiale dove una volta igienizzate le mani cerco il mio posto e guardo chi c’è. Procedere in questo modo mancherebbe di riverenza non solo nei confronti del luogo, ma di se stessi e soprattutto del Dio vivo e vero. Diamo a Lui, invece, l’onore, la gloria e l’adorazione a Lui dovuti.

In alto i cuori.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1265: Il Battesimo non soltanto purifica da tutti i peccati, ma fa pure del neofita una «nuova creatura» (2 Cor 5,17), un figlio adottivo di Dio che è divenuto «partecipe della natura divina» (2 Pt 1,4), membro di Cristo e coerede con lui, tempio dello Spirito Santo.

CCC 1269: Divenuto membro della Chiesa, il battezzato non appartiene più a se stesso, ma a colui che è morto e risuscitato per noi. Perciò è chiamato a sottomettersi agli altri, a servirli nella comunione della Chiesa, ad essere «obbediente» e «sottomesso» ai capi della Chiesa, e a trattarli «con rispetto e carità». Come il Battesimo comporta responsabilità e doveri, allo stesso modo il battezzato fruisce anche di diritti in seno alla Chiesa: quello di ricevere i sacramenti, di essere nutrito dalla Parola di Dio e sostenuto dagli altri aiuti spirituali della Chiesa.

CCC 1273: Incorporati alla Chiesa per mezzo del Battesimo, i fedeli hanno ricevuto il carattere sacramentale che li consacra per il culto religioso cristiano. Il sigillo battesimale abilita e impegna i cristiani a servire Dio mediante una viva partecipazione alla santa liturgia della Chiesa e a esercitare il loro sacerdozio battesimale con la testimonianza di una vita santa e con una operosa carità.

Non avrai altro Dio all'infuori di me

L’idolatria è spesso considerato un problema di altri tempi, quando i popoli erano politeisti, animisti, feticisti. Oggi sembrerebbe che, nel nostro occidente almeno, sia un problema debellato. È proprio così?

Compiere un atto idolatra significa rendere, a false divinità, il culto che si deve solo a Dio. È un atto che reca una grave offesa al Signore perché gli si ruba l’onore a Lui dovuto, sostituendolo con una creatura la quale viene innalzata al rango divino.

Se feticismo significa identificare in un’immagine materiale la divinità; e se l’animismo crede che ogni cosa è animata da uno spirito, l’idolatria è una degenerazione della fede nel Dio uno vivo e vero, Dio supremo e Creatore dell’universo.

Ciò significa che basta poco per trovarsi nel rischio di commettere un peccato del genere. È sufficiente non dare a Dio il posto a Lui dovuto nei miei pensieri, nelle mie parole e nei miei atti! Quanta gloria gli rubiamo durante una giornata per le nostre omissioni di ringraziamento e di amore nei suoi confronti? L’uomo è stato creato per adorare, se non adorerà Dio adorerà qualcosa di meno. Adorando Dio scopriamo la nostra libertà, adorando un idolo saremo rapidamente legati e incatenati a lui.

In questa terza domenica di quaresima propo-niamoci di rinunciare a ciò che ci rende dipendenti e talvolta schiavi, e di non sottrarre mai più a Dio l’onore, la gloria e l’amore a Lui dovuti. Amen.

In alto i cuori.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 2097: Adorare Dio è riconoscere, nel rispetto e nella sottomissione assoluta, il «nulla della creatura», la quale non esiste che da Dio. Adorare Dio – come fa Maria nel «Magnificat» – è lodarlo, esaltarlo e umiliare se stessi, confessando con gratitudine che egli ha fatto grandi cose e che santo è il suo nome. L'adorazione del Dio unico libera l'uomo dal ripiegamento su se stesso, dalla schiavitù del peccato e dall'idolatria del mondo.

CCC 2113: L'idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio. C'è idolatria quando l'uomo onora e riverisce una creatura al posto di Dio, si tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro, ecc. «Non potete servire a Dio e a mammona», dice Gesù (Mt 6,24). Numerosi martiri sono morti per non adorare «la Bestia», rifiutando perfino di simularne il culto. L'idolatria respinge l'unica Signoria di Dio; perciò è incompatibile con la comunione divina.

CCC 2114: La vita umana si unifica nell'adorazione dell'Unico. Il comandamento di adorare il solo Signore unifica l'uomo e lo salva da una dispersione senza limiti. L'idolatria è una perversione del senso religioso innato nell'uomo. Idolatra è colui che «riferisce la sua indistruttibile nozione di Dio a chicchessia anziché a Dio».

Il sangue di Gesù che purifica

Non c’è peccato che Dio non voglia perdonare se, contriti e umiliati, chiediamo perdono sinceramente per le nostre colpe e ci proponiamo di non cadere più. Quando ci confessiamo nel sacramento della riconciliazione il sangue di Gesù ci purifica tramite il ministro di Dio.

Anche quando celebriamo il santo sacrificio della Messa, attraverso le mani del sacerdote, Gesù si offre a noi suscitando sentimenti sinceri di contrizione che ci predispongono al perdono dei peccati e alla remissione delle pene che dovremmo subire per espiarli.

Gesù ci offre la grazia della conversione, ma anche quella della perseveranza per resistere alle tentazioni e per sopportare le prove della vita. Ci consola quando siamo tribolati e ci rinnova spiritualmente quando la nostra anima è piena di tiepidezza e torpore.

Preghiamo il Padre, in questa quaresima, perché otteniamo ciò che chiediamo nel nome di Gesù, vi-vendo in Lui, contando su i suoi meriti che ha acquistato sulla croce alla quale dobbiamo sempre guardare con viva speranza e ardente carità.

La Samaritana ha capito che Gesù avrebbe potuto darle tutto ciò che desiderava di buono e di santo. A Lui si affida, in Lui crede, Lui annuncia. Poniamo come lei gli occhi su Gesù, autore e perfe-zionatore della fede. Lasciando dietro di noi il peccato corriamo con perseveranza verso il cielo, annunciando ai fratelli l’amore infinto del Salvatore.

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1393: La Comunione ci separa dal peccato. Il Corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è «dato per noi», e il Sangue che beviamo è «sparso per molti in remissione dei peccati». Perciò l'Eucaristia non può unirci a Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dai peccati commessi e preservarci da quelli futuri: «Ogni volta che lo riceviamo, annunziamo la morte del Signore. Se annunziamo la morte, annunziamo la remissione dei peccati. Se, ogni volta che il suo sangue viene sparso, viene sparso per la remissione dei peccati, devo riceverlo sempre, perché sempre mi rimetta i peccati. Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina».

CCC 1394: Come il cibo del corpo serve a restaurare le forze perdute, l'Eucaristia fortifica la carità che, nella vita di ogni giorno, tende ad indebolirsi; la carità così vivificata cancella i peccati veniali. Donandosi a noi, Cristo ravviva il nostro amore e ci rende capaci di troncare gli attaccamenti disordinati alle creature e di radicarci in lui: «Cristo è morto per noi per amore. Perciò quando facciamo memoria della sua morte, durante il sacrificio, invochiamo la venuta dello Spirito Santo quale dono di amore. La nostra preghiera chiede quello stesso amore per cui Cristo si è degnato di essere crocifisso per noi. Anche noi, mediante la grazia dello Spirito Santo, possiamo essere crocifissi al mondo e il mondo a noi. [...] Avendo ricevuto il dono dell'amore, moriamo al peccato e viviamo per Dio».

CCC 1395: Proprio per la carità che accende in noi, l'Eucaristia ci preserva in futuro dai peccati mortali. Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da lui con il peccato mortale. L'Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali. Questo è proprio del sacramento della Riconciliazione. Il proprio dell'Eucaristia è invece di essere il sacramento di coloro che sono nella piena comunione della Chiesa.

Lotta contro le tentazioni

Quando un nemico spirituale mi spinge a compiere il male si parla di tentazione. Dio non tenta, come spiega san Giacomo (cfr. Gc 1,13), ma a farlo è un essere cattivo che vuole la nostra perdizione. D’altra parte, dobbiamo riconoscere: Dio permette che i nemici spirituali sferrino contro di noi i loro artigli, ma non ci lascia mai soli, anzi ci dà la forza e le grazie necessarie per resistere. S. Paolo spiega che Dio non permetterà mai che siamo tentati oltre le nostre forze (cfr. 1Co 10,13).

Rimane la domanda: “Perché Dio permette che siamo tentati a compiere il male?”. Per tre motivi. 1. Vuole che ci meritiamo il paradiso: combattere energicamente la tentazione, che mette in pericolo la nostra vita virtuosa, è uno degli atti più meritori nella vita spirituale. Dio ha voluto che meritassimo il cielo come una ricompensa. 2. Vuole che ci purifichiamo: per reagire alla tentazione dobbiamo sforzarci per compiere atti contrari a quelli che il tentatore ci propone. In questo modo, quindi, rendiamo la nostra anima più pura. 3. Vuole che progrediamo spiritualmente: la tentazione è un colpo di frusta che ci risveglia e ricorda che non dobbiamo addormentarci, ma puntare in alto, invocando la grazia di Dio con più fervore e gettandoci amorevolmente tra le braccia protettive di Dio Padre.

Buon cammino di quaresima perché, preparandoci alla Pasqua, siamo pronti per il Cielo.

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1707: «L'uomo però, tentato dal maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà». Egli cedette alla tentazione e commise il male. Conserva il desiderio del bene, ma la sua natura porta la ferita del peccato originale. È diventato incline al male e soggetto all'errore:

«Così l'uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre».

CCC 1708: Con la sua passione Cristo ci ha liberati da Satana e dal peccato. Ci ha meritato la vita nuova nello Spirito Santo. La sua grazia restaura ciò che il peccato aveva in noi deteriorato.

CCC 1709: Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma dandogli la capacità di seguire l'esempio di Cristo. Lo rende capace di agire rettamente e di compiere il bene. Nell'unione con il suo Salvatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, cioè la santità. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo.

Per la conversione dei peccatori

Abbiamo appena festeggiato la Madonna di Lourdes che ha chiesto, tramite santa Bernardetta, di costruire una cappella nel luogo delle apparizioni perché presso quella grotta si pregasse per la conversione dei peccatori. Lourdes è così diventata un luogo di pellegrinaggio grazie al quale milioni di persone hanno potuto trovare consola-zione, guarigione del cuore, del corpo e dell’anima. L’opera divina è sempre sovrabbondante di grazia, anche se accompagnata da tribolazioni come è stato per santa Bernadetta.

In vista del cinquantesimo anniversario della nostra parrocchia stiamo cercando di rendere sempre più accogliente e bella la nostra Chiesa. Abbiamo non solo messo a norma tutto l’impianto elettrico, ma anche il parquet è stato risistemato là dove il riscaldamento a suo tempo aveva fatto i capricci. La Chiesa ritrova quindi il suo ordine, grazie a Dio, ai vostri doni e a coloro che la tengono con fedeltà pulita e decorata.

Possiamo chiederci: perché è importante che la nostra Chiesa sia bella e ospitale? La risposta ce la suggerisce proprio la Madonna: perché sia un luogo di conversione. Dobbiamo desiderare con tutto il nostro cuore che grazie alla preghiera personale e alle liturgie comunitarie quelle anime stanche e oppresse possano trovare rifugio e conforto presso Gesù e Sua Madre. A noi è chiesto di rendere confortevole il luogo, orante la preghiera, accogliente l’ospitalità, perché coloro che si avvicinano per la prima volta alla nostra comunità si sentano nella casa di Dio e coloro che l’hanno lasciata da anni possano ritornarvi con spirito gioioso e servizievole.

Preghiamo tanto la Madonna perché nella nostra Chiesa avvengano tante conversioni a Gesù!

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 545: Gesù invita i peccatori alla mensa del Regno: «Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l'infinita misericordia del Padre suo per loro e l`immensa «gioia [che] ci sarà in cielo per un peccatore convertito» (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita «in remissione dei peccati» (Mt 26,28).


CCC 1989: La prima opera della grazia dello Spirito Santo è la conversione, che opera la giustificazione, secondo l`annuncio di Gesù all`inizio del Vangelo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Sotto la mozione della grazia, l`uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall'alto. «La giustificazione [...] non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell`uomo interiore».


CCC 2092: Ci sono due tipi di presunzione. O l`uomo presume delle proprie capacità (sperando di potersi salvare senza l`aiuto dall`alto) oppure presume della onnipotenza e della misericordia di Dio (sperando di ottenere il suo perdono senza conversione e la gloria senza merito).

Alla difesa della vita

“Non uccidere” dice il quinto comandamento. La parola uccidere proviene, etimologicamente, dal verbo tagliare. Dio chiede di non tagliare la vita, di non tagliare volontariamente il cordone ombelicale della vita procurando la morte del futuro nascituro, di non tagliare la spina grazie alla quale un malato in stato vegetativo è idratato e nutrito. Oggi, infatti, sono questi i due grossi ostacoli di fronte ai quali la nostra fede si scontra con la cultura di morte che impera sempre più nelle coscienze, incoraggiata da leggi già promulgate ed altre che invece si vorrebbero promulgare.

Per noi cristiani, la vita è un dono di Dio di cui l’uomo non può disporre, MAI, in nessuna circostanza. Non possono esistere leggi che possano rendere legittimo ogni comportamento che venga a spegnere la vita di un uomo o di una donna, che siano piccoli o anziani.

Durante questa settimana, p. Bruno De Cristofaro, della diocesi di Mazara del Vallo, è stato oggetto di molte critiche per aver paragonato le vittime indifese dell’olocausto ai tanti bambini uccisi nel grembo materno attraverso la pratica legalizzata dell’aborto. Ci sentiamo solidali con i propositi di Padre Bruno e siamo dispiaciuti per l’attacco mediatico che ha dovuto subire.

Nella nostra diocesi, il Centro Aiuto alla Vita (C.A.V.) si prodiga per salvare delle vite fin dal grembo delle loro madri. Questa domenica sosteniamo questa causa, non solo con il nostro cuore ma anche con il nostro aiuto economico.

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 2270: La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l'essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Ger 1,5). «Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra» (Sal 139,15).

CCC 2271: Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L'aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale: «Non uccidere il bimbo con l'aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita». «Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come pure l'infanticidio sono abominevoli delitti».

CCC 2277: Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile. Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere.

Non possiamo permetterlo

Festeggiare oggi la santa Famiglia di Nazareth ci aiuta a cogliere l’occasione per valorizzare gli elementi essenziali dell’essere famiglia. Cosa ci insegnano la legge naturale e la legge divina su questo argomento?

Innanzitutto la famiglia si fonda su una relazione sponsale uomo/donna. Il loro amore è così fondante che Gesù l’ha elevato a sacramento, cioè a segno efficace dell’amore che Cristo lui stesso ha per la Chiesa. Il divorzio, dunque non può essere contemplato (Cristo ci ha amati fino alla morte), né tantomeno l’adulterio (anche se noi l’abbiamo tradito, lui non ha smesso mai di amarci).

Il loro amore non è fine a se stesso, ma è teso a rendere gloria a Dio e a procreare perché il mondo si popoli di persone credenti in Dio, chiamate poi a popolare il cielo. La prole è un dono di Dio che non può mai essere preteso, ma solo richiesto. Quando si riceve un tale dono, così immenso, non lo si può mai rifiutare!

In virtù della generazione diventano padre e madre (e non genitore 1 e genitore 2) a immagine della paternità di Dio. Hanno la responsabilità di educare i loro figli se-condo la legge naturale e il Vangelo perché li aiutino a vivere in Cristo con la Chiesa, a glorificare Dio e a salvare le loro anime. I genitori meritano rispetto e venerazione, anche quando sono anziani e non più autosufficienti. Anche se in stato vegetativo, hanno il diritto di vivere e di essere amati.

I figli abbisognano di cura e amore continui, fin dalla tenera età. Per loro, papà e mamma si spendono e si dedicano, proteggendoli e istruendoli alla verità e al bene, e introducendoli alla pratica dei sacramenti e all’amore per Cristo e per la Chiesa.

Sì, lo so, si tratta di banalità. Oggi, in molti casi, tutto ciò è dimenticato e tralasciato. Non possiamo permetterlo! In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1643: «L'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona – richiamo del corpo e dell'istinto, forza del sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà –; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e un'anima sola; esso esige l'indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità. In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma anche le eleva al punto di farne l'espressione di valori propriamente cristiani».


CCC 1644: L'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'unità e l'indissolubilità della loro comunità di persone che abbraccia tutta la loro vita: «Così che non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6). Essi «sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reci-proco dono totale». Questa comunione umana è confermata, purificata e condotta a perfe-zione mediante la comunione in Cristo Gesù, donata dal sacramento del Matrimonio. Essa si approfondisce mediante la vita di comune fede e mediante l'Eucaristia ricevuta insieme.

La parola di Dio

Siamo nella Domenica della Parola di Dio. Cosa significa? Generalmente quando si dice “Parola di Dio” si pensa subito, e spesso esclusivamente, alla Bibbia, la Sacra Scrittura: l’Antico e il Nuovo Testamento. È solo questa la Parola di Dio? Questa idea appartiene a Lutero, non certo a noi cattolici. Per noi la Parola di Dio si trova sia nella Sacra Scrittura, sia nella Tradizione apostolica. La Bibbia è la Parola di Dio in forma scritta, ma non è quindi l’unico canale della Parola di Dio. Con Tradizione s’intende sia l’azione del trasmettere la dottrina di Cristo da parte degli Apostoli, sia il tesoro stesso dei contenuti della fede che abbiamo ricevuto attraverso gli insegnamenti della Chiesa e che siamo tenuti a custodire.

Facciamo qualche esempio: nella Bibbia non è scritta espressamente la parola “Trinità” ma, d’altra parte, se non credessimo al fatto che Dio sia Uno e Trino non saremmo cristiani. Anche la Parola transustaziazione è assente nella Sacra Scrittura, eppure ogni domenica siamo a Messa perché crediamo che Gesù si rende realmente presente sull’altare, come al Calvario, col suo Corpo e col Suo Sangue, offrendosi per noi. Altro esempio: nella Bibbia non si parla dell’Assunzione di Maria in Cielo o della sua Sempre Verginità, d’altra parte se non credessimo che queste realtà in Maria si sono realizzate, non saremmo cattolici.

Vedete dunque che la Parola di Dio non si esaurisce nella Sacra Scrittura, ma la ritroviamo in tutti quegli articoli di fede - conservati dalla Tradizione e raccolti dal Magistero, ad esempio, nel catechismo - che gli Apostoli ci hanno trasmesso dalla viva voce di Gesù.

Vi auguro di conoscere e amare sempre più la Parola di Dio nella sua completezza, perché la vostra fede cresca in fortezza e la vostra vita sia costruita sulla Roccia che è Cristo.

In Alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 80: «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine». L`una e l`altra rendono presente e fecondo nella Chiesa il mistero di Cristo, il quale ha promesso di rimanere con i suoi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

CCC 81: «La Sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l`ispirazione dello Spirito divino». «La sacra Tradizione poi trasmette integralmente la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano»

CCC 82: Accade così che la Chiesa, alla quale è affidata la trasmissione e l`interpretazione della Rivelazione, «attinga la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perci¿ l`una e l`altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di rispetto».

«Non hanno più vino»

Maria Santissima dice a suo Figlio Gesù. «Non hanno più vino». La Madonna prega il Salvatore per gli sposi di Cana, ma prega anche per noi oggi e ripete la stessa frase: “Non hanno più vino».

Sono passati 2000 anni, gli sposi non sono più gli stessi, ma la nostra Madre sicuramente intercede per noi dicendo: «Gesù, non hanno più vino”.

I bimbi nel seno di loro madre, rifiutati, non hanno la possibilità di vivere; i fanciulli, sfruttati e abusati, non avranno più un’infanzia serena; i ragazzi adolescenti non hanno più sogni nel cuore – addormentati davanti ai loro schermi; i giovani non hanno futuro roseo, combattendo come possono; gli adulti, stanchi, non hanno più forza per affrontare le preoccupazioni delle loro famiglie; i nonni, isolati, non hanno gli affetti essenziali; i cristiani, perseguitati, non hanno chi li difenda; gli uomini di buona volontà, afflitti, non sono sostenuti nella loro lotta per la giustizia; i poveri, crescendo di numero, non hanno la possibilità di essere aiutati; i credenti in Dio, scherniti, non hanno più il coraggio di difendere la fede davanti ai potenti di questo mondo; i malati, soli, non possono morire a fianco ai loro cari; i consacrati, fedeli, non sperimentano più come prima il sostegno di numerosi confratelli e consorelle; le famiglie, divise, non smettono di aumentare; la Chiesa, nel mondo, non ha più voce.

Questi e ancora altri sono sicuramente i richiami che oggi Maria Santissima eleva a suo Figlio perché intervenga. Alle nozze di Cana, Lui risponde: «Non è ancora giunta la mia ora» - quella della croce - ma poi interviene salvando la festa, e moriranno Lui nel corpo e sua Madre nel cuore. Anche per noi sarà così, il Signore interverrà e trasformerà l’acqua della nostra afflizione in vino della nostra salvezza, ne siamo certi. Ma a quale prezzo? Noi possiamo solo restargli fedeli nella gioia della speranza.

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1613: Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno su richiesta di sua Madre í durante una festa nuziale. La Chiesa attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle nozze di Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l`annuncio che ormai esso sarà un segno efficace della presenza di Cristo.


CCC 2618: Il Vangelo ci rivela come Maria preghi e interceda nella fede: a Cana la Madre di Gesù prega il Figlio suo per le necessità di un banchetto di nozze, segno di un altro Banchetto, quello delle nozze dell`Agnello che, alla richiesta della Chiesa, sua Sposa, offre il proprio Corpo e il proprio Sangue. Ed è nell`ora della Nuova Alleanza, ai piedi della croce, che Maria viene esaudita come la Donna, la nuova Eva, la vera Madre dei viventi.


CCC 1335: (…) Il segno dell`acqua trasformata in vino a Cana annunzia già l`Ora della glorificazione di Gesù. Manifesta il compimento del banchetto delle nozze nel regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo divenuto il Sangue di Cristo.

San Leonardo, la mangiatoia di Betlemme

Carissimi, San Paolo dice: “Ecco, un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passione di piaceri, ma quando apparvero la bontà di Dio, Salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati”. Ecco la parola chiave è “apparire”, “apparizione”: apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini. Apparire nel senso che questo amore si è reso visibile: l'Epifania è appunto la manifestazione di Gesù, cioè Dio che si rende visibile; è quell'aspetto del Natale per il quale noi capiamo che, se Dio non si facesse vedere, noi non potremmo vederlo; se Dio non si rendesse visibile, i nostri occhi non potrebbero credere in Lui; non potrebbero cogliere la sua presenza; non potrebbero i nostri cuori amarlo, le nostre menti comprenderlo; le nostre vite seguirlo; sarebbe impossibile, se Dio non si manifestasse a noi. Così come Dio si è manifestato ai pastori, così come Dio si è manifestato ai Re Magi, così Dio si manifesta a noi. E il mistero dell'Epifania è un mistero particolare, perché è riempito di una particolare caratteristica, quella del silenzio e dell'adorazione. Perché “adorare” significa appunto mettere la mano sulla bocca per non parlare, perché ormai c'è la presenza: la Parola si è resa viva, visibile, toccabile, palpabile. Allora ormai devo mettere la mano alla bocca, e adorarlo, perché ormai non c'è più bisogno di parole, perché la Parola si è fatta carne; “il verbo di Dio si fece carne”. E quindi questo mistero di silenzio e di adorazione ci può riguardare: perché? Senza fare il visionario, senza fare il profeta, ma penso che il nostro essere qui a San Leonardo, nel quartiere Gallaratese, nella periferia di Milano e per noi essere la periferia della periferia di Milano è un po' come essere a Betlemme. San Leonardo è un po' come Betlemme e dobbiamo cogliere questa grazia che abbiamo ricevuto di non abitare in centro, di non abitare a Gerusalemme, ma di abitare fuori da Gerusalemme: abitare a Betlemme. Dio ci ha scelti per questa grazia: per entrare in contatto particolare con la povertà di Betlemme, con la semplicità di Betlemme, con il culto che Betlemme vive, culto di adorazione; perché Betlemme ha questa grazia, in quel silenzio di quella notte, di poter adorare per prima Gesù, il figlio di Dio. E quindi noi, che siamo al cuore di San Leonardo in quanto comunità cristiana, siamo chiamati a diventare questa questa mangiatoia: la mangiatoia alla quale la gente viene ad adorare il Signore. Vedete, questa non è una visione: potrebbe essere semplicemente un mio desiderio, ma secondo me più che un desiderio; secondo me è la realtà. Chi può negare di essere a Milano la periferia della periferia noi qui a San Leonardo? Chi può negare di essere in qualche modo – grazie anche alla carità che si fa tanto in questa parrocchia – la mangiatoia per tante persone? Ma chi può negare che innanzitutto questo luogo è un luogo di adorazione, per la bellezza di questa chiesa che spinge a pregare e per la nostra cappellina. Allora, vedete, per questo 2021 che inizia perché non diventiamo, appunto, come Betlemme anche per quanto riguarda l'Adorazione eucaristica? Perché non facciamo diventare questa chiesa quella mangiatoia in cui la gente dal centro e dalle periferie viene ad adorare? Proprio come i Magi, che da lontano sono venuti, perché hanno visto quella stella e si sono avvicinati. Ecco quella stella porta a Gesù e la comunità di San Leonardo può essere anche quella stella che porta a Gesù. E quindi questa festa dell'Epifania per noi è particolarmente importante, perché – se la guardiamo con un occhio profetico – ecco che diventa in qualche modo anche la nostra festa, la festa che ci ricorda la nostra missione; quello che siamo chiamati a diventare come comunità cristiana: adoperarci nella carità, ma soprattutto adope-rarci perché la gente venga ad adorare Gesù. E quanto sarebbe bello che in questa chiesa le ore di adorazione si prolungassero, di ora in ora, di giorno e di notte, perché no? Perché non possiamo diventare quella mangiatoia di Betlemme? Sarebbe bellissimo. Quanta gente ha bisogno di scoprire che è fatta per adorare Gesù? Vedete, non c'è altro fine nella vita che adorare Dio; fare silenzio ed entrare in quel cuore a cuore con Gesù e dire: “Ecco, Signore, parla tu. Quante cose ti dico, ma sei tu la Parola: allora entra dentro di me, metti nel mio cuore, nella mia vita, quella parola di vita eterna, perché solamente tu hai questi tipi di parole. Solamente tu parli con autorità”. Ecco, abbiamo questa grazia – già con Don Abramo – di essere attenti ai bisogni dei più poveri in questi luoghi. Quindi questa mangiatoia esiste da anni; e da anni noi dobbiamo continuare ad alimentarla; ma non si fa carità senza Gesù o, meglio, la carità che Dio ci chiede di fare non è quella filantropica che fanno tutti, ma è quella che proviene da Dio; è quella che proviene da Gesù; è quella di Cristo: questa il Signore ci chiede di fare. Gli altri la possono fare, ma non è la stessa cosa. A noi è chiesta una missione particolare: non solamente di fare il bene, ma anche – attraverso il bene – portare a Gesù. E da Gesù riportare il bene. Ecco, allora vi chiedo proprio di pregare, di accogliere già nei vostri cuori questa missione di San Leonardo; di farla diventare vostra; di renderci conto di quella che è la nostra missione e quindi viverla: noi siamo la mangiatoia del Signore Gesù. Ecco, diventiamola. Diventiamola sempre di più. Perché davanti a Gesù Eucarestia tante grazie accadono nel silenzio: grazie di guarigione fisica, grazie di guarigioni interiori, grazie di liberazione spirituale, grazie grazie di perdono, grazie di avvicinamento a Dio e quindi di consolazione ecc. Tante grazie innumerevoli si realizzano: tutto perché là dove c'è l'Eucarestia, quello è Gesù. E, se Gesù è presente, non può non agire nei confronti di coloro che Lo adorano. E allora se Gesù c'è in questo luogo, esso nella sua povertà porterà grazia nell'invisibile a tanti, senza che noi neanche ce ne possiamo rendere conto. Allora per questo preghiamo: chiediamo di essere anche noi Epifania, di partecipare a questa manifestazione. Sarebbe bello a poco a poco alternarsi di ora in ora per poter venire qui a fare mezz'ora o un'ora di adorazione e poi un'altra persona ancora e poi un'altra ancora... e poi magari, uscendo, fare ancora un po' di carità e poi andare a casa. Ecco, adorare e fare la carità. Amare e pregare. Questa è la nostra vita e questa è la chiamata anche di San Leonardo. Allora se così saremo, così porteremo luce e così il Signore ci benedirà e proteggerà tutte le nostre famiglie.

In alto i cuori!

Don Luigi

Santo Natale del Signore

San Paolo ha un’espressione che in poche parole ci aiuta a capire l’evento del santo Natale: “È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). Gesù è la Grazia di Dio che si è resa presente in mezzo a noi, il Dono che gratuitamente dispensa, a coloro che rinnegano l’empietà di questo mondo, la salvezza (cfr. Tt 2,12).

Se abbiamo ricevuto così tanta Grazia, è cosa buona e giusta “rendere grazie”. Desidero, innanzitutto, ringra-ziare ogni parrocchiano di san Leonardo da Porto Maurizio per l’accoglienza semplice, sincera e sentita nei miei confronti. In questi mesi, attraverso di voi, mi è stato comunicato – quale segno dell’Amore di Cristo – tanto tanto bene. Sia camminando in strada tra le vie della parrocchia che qui in chiesa, ho sempre sperimentato un affetto sincero e un cordiale benvenuto. Grazie!

Ringrazio, in modo particolare, tutti coloro che in questi mesi mi hanno introdotto nella vita della parrocchia, don Andrea e don Cesare in primis e ogni operatore pastorale che mi ha aiutato ad entrare in questa, per me, nuova vita. Un grande grazie a coloro che si dedicano alla parrocchia con un fedele servizio spesso invisibile e umile. Ringrazio coloro che, con grande profitto, puliscono fedelmente la nostra bella e orante chiesa, coloro che la abbelliscono con delle splendide decorazioni floreali, coloro che la preparano con cura per le celebrazioni, coloro che la riempiono di suoni melodiosi con il canto, coloro che la rendono viva con il servizio liturgico, coloro che la avvolgono con il servizio generoso della carità, coloro che la preparano un sicuro abito futuro educando i bambini e i ragazzi dell’oratorio, coloro che la organizzano con attenti lavori di segreteria. Ringrazio anche chi fa gli straordinari assistendo a battesimi, funerali, matrimoni o sistemando minuziosamente i locali o rendendo, a tutte le stagioni, ospitale il nostro bel giardino o raccogliendo con pazienza le ulive dei nostri alberi; o ancora svolgendo quei piccoli servizi che, pur essendo invisibili, sono tanto preziosi e chi, magari non pur non ritrovandosi in nessuna di queste categorie ringraziate, si rende disponibile ad ogni chiamata o necessità.

Vi ringrazio per i vostri sorrisi - anche se solo visibili dagli occhi - per la vostra attenzione amorevole all’altro, per il vostro attento ascolto della Parola di Dio, per la vostra gioia nel sentirvi comunità cristiana attorno ai suoi pastori, insomma, per la vostra accoglienza piena di cordialità che mi ha aiutato a sentirmi a casa praticamente da subito. Che, con l’aiuto di Dio, possiamo essere sempre più una comunità unita e tesa al servizio di Dio e del prossimo perché siano rese Gloria a Dio e si consegua insieme la salvezza dell’anima di ciascuno. Vi auguro un santo Natale che niente e nessuno potrà mai privarci di celebrare perché Dio è con noi: l’Emmanuele. GRAZIE!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

Una nuova stirpe nascerà,

da un altro uomo venuto dal cielo,

e non come il primo fango;

è Dio vero, nella natura umana,

ma senza le imperfezioni della carne.


Il Verbo del Padre si fa carne vivente.

Lo partorisce l’intemerata fanciulla

Che Iddio splendente,

non un rapporto umano,

ha reso feconda.


Un odio antico opponeva

L’uomo al serpente,

origine della vittoria futura della Donna.


Ora il serpente, strisciante al suolo,

è calpestato dai piedi della Donna;

infatti la Vergine,

che ha meritato di dare alla luce Iddio,

trionfa di tutti i mali.

Pigramente raggomitolato su se stesso,

il serpente rigetta l’imponente veleno,

confondendone il colore con il verde dell’erba.


Da Prudenzio, Gli inni della giornata

Andate da San Giuseppe

Papa Francesco, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa universale, ha scritto la lettera apostolica Patris Corde. L’espressione Ite ad Ioseph (andate da Giuseppe) è caratteristica di un cammino che ciascuno di noi è chiamato a fare nella propria vita spirituale, ma soprattutto in questo tempo di Natale che si avvicina. È lui a condurci a Maria; ed è lei che ci accompagna a Gesù. Attraverso la sua castità incontriamo la purezza di Maria e conosciamo la santità del Signore. Scoprendo il suo dono di sé, siamo condotti all’amore senza condizioni della Madre del Signore e del Figlio di Dio.

In occasione di questo anniversario così importante, si possono lucrare per se stessi – o applicare ai defunti, a modo di suffragio – le indulgenze, sia parziali che plenarie.

Per lucrare l’indulgenza plenaria è necessaria una disposizione d’animo che escluda ogni affetto al peccato anche veniale. Quando si ottiene un’indulgenza, anche parziale, siamo riempiti di un gran dono della Chiesa grazie al quale si cancellano, in tutto o in parte, le pene dovute alle colpe, in terra o in purgatorio. Le condizioni grazie alle quali si può ottenere l'indulgenza sono elencate nell'ultima pagina di questo foglietto. Consiglio di leggerle con attenzione e di metterle in pratica il più possibile durante questo anno, per il proprio bene e per quello di tante anime dei nostri cari defunti.

Prendiamo tanto tempo davanti al presepe: guardando Giuseppe, notiamo l’amore che nutre nei confronti di Gesù e di Maria e lasciamoci trasportare dal suo esempio. Andiamo a lui perché conosciamo e amiamo di più il nostro divin Salvatore!

In alto i cuori.

Don Luigi

A te, o beato Giuseppe

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, insieme con quello della tua santissima Sposa.

Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno, la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto soccorri ai nostri bisogni.

Proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amantissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo;

assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso possiamo virtuosamente vivere, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.

Amen!

Santa Lucia, una santa da riscoprire

Santa Lucia è una santa giovanissima dell’inizio del IV secolo. All’età di 21 anni, infatti, subì il martirio. È un esempio per tutti i nostri giovani rinchiusi nel loro pigro isolamento digitale.

Lei ha avuto coraggio da vendere: ha creduto che sua madre potesse guarire dalle sue continue emorragie e, affidandosi all’intercessione di sant’Agata, ricevette la grazia. Ebbe l’audacia di consacrarsi interamente a Cristo nonostante un pretendente la volesse per sé. Non si attaccò ai suoi beni materiali, ma li donò ai poveri. Accettò con spirito di sacrificio la vendetta dell’uomo che la voleva per sposa e che la denunciò come cristiana. Rifiutò con estrema decisione di non voler offrire sacrifici a dei pagani. Minacciata di essere condotta in una casa di prostituzione per il resto della vita rispose: “Il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”.

La sua fede la rese miracolosamente pesante perché non fosse portata via e, seppur tentarono di bruciarla viva, le fiamme non la raggiunsero. Solo un pugnale in gola arrestò la manifestazione in terra del suo amore incondizionato per Cristo, ma dal cielo non ha smesso di rinvigorire le ginocchia fiacche di coloro che a lei ricorrono.

Affidiamole i nostri bambini, ragazzi e giovani perché non smettano di credere, di sperare, di amare Dio nonostante tutti gli ostacoli che nel mondo di oggi incontrano. San Lucia, prega per loro!

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1010: Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). «Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui» (2 Tm 2,11). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente «morto con Cristo», per vivere di una vita nuova; e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo «morire con Cristo» e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore.


CCC 1011: Nella morte, Dio chiama a sé l'uomo. Per questo il cristiano può provare nei riguardi della morte un desiderio simile a quello di san Paolo: «il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo» (Fil 1,23); e può trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull'esempio di Cristo:

«Ogni mio desiderio terreno è crocifisso; [...] un'acqua viva mormora dentro di me e interiormente mi dice: "Vieni al Padre!"» (Sant’Ignazio di Antiochia).

«Voglio vedere Dio, ma per vederlo bisogna morire» (Santa Teresa di Avila).

«Non muoio, entro nella vita» (Santa Teresina).


Nel cuore immacolato di Maria

Il tredici giugno 1917 la Madonna apparendo a Fatima ai tre pastorelli, Lucia, Francesco e Giacinta si mostrò con un cuore coronato di spine – che sembravano confitte – davanti alla sua mano destra. I bambini capirono subito che si trattava del Suo Cuore Immacolato che domandava, oltraggiato dai peccati dell’umanità, riparazione. La devozione al Cuore Immacolato di Maria è un rifugio nella nostra solitudine e il cammino che conduce fino a Dio, come promette la Beata Vergine a Lucia.

In che modo può essere vissuta questa devozione? Il 13 luglio seguente, con queste parole la Madonna chiarirà: “Sacrificatevi per i peccatori, e dite molte volte, specialmente ogni volta che fate qualche sacrificio: O Gesù, è per amor Vostro, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria”.

Perché è così importante sviluppare nella nostra vita cristiana una devozione al Suo Cuore? Tale spiritualità aiuta le anime dei poveri peccatori a non precipitare nell’inferno. Si tratta, quindi, di una partecipazione alla salvezza che il Cristo opera attraverso la cooperazione materna di Maria santissima.

Per una devozione sincera lei chiederà di consacrare la Russia al suo Cuore Immacolato: “Se no, diffonderà i suoi errori nel mondo, suscitando guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrò molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente il Mio Cuore Immacolato trionferà”. Cosa aspettiamo, dunque, a consacrarci anche noi al Suo Cuore Immacolato?

In alto i cuori.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 1035: La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.


CCC 1036: Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14).

Le parole di San Leonardo

San Leonardo da Porto Maurizio in una sua lettera scriveva: “Desidero di finir presto quest’esilio, perché in paradiso mi pare che farò con più frutto le missioni; e se ci metto il piede, spero, e tengo per certo, voglio metter sottosopra il paradiso e voglio rimproverare a tutti gli angioli, a tutti gli apostoli, a tutti i santi, perché non fanno una santa violenza alla SS. Trinità per mandar uomini apostolici, ed a piovere un diluvio di grazie efficacissime a convertir tutti, acciò la terra diventi cielo; e tutti si conformino a quell’amabilissima volontà di Dio”.

Il nostro santo Patrono non voleva riposarsi neanche in cielo fino a quando non l’avesse popolato di tante anime salvate grazie alla predicazione di apostoli di fuoco come lui. Infatti, Papa Benedetto XIV lo definì “cacciatore di anime per il paradiso”. Se Il nostro santo francescano ha promesso che avrebbe passato il suo cielo a fare una santa violenza alla SS. Trinità perché tante anime raggiungessero il paradiso, abbandonando quei costumi lontani da Dio e mettendo in pratica la sua amabile volontà, possiamo essere certi che sia così.

Non resta che approfittare di questa grazia che San Leonardo promette di assicurarci e pregarlo tanto per i nostri parenti, i nostri amici, i nostri cari ma anche per i nostri nemici. Non è comune avere un santo patrono come lui, abitato da così gran zelo apostolico.

Godiamo di questa benedizione, non siamo scettici né tiepidi, intercediamo e chiediamo il dono di tante conversioni attraverso una preghiera continua e fiduciosa. Come diceva San Leonardo: “Senza orazione poco giovano le parole” perché “la conversione è opera del braccio onnipotente di Dio”. In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 850: L'origine e lo scopo della missione. Il mandato missionario del Signore ha la sua ultima sorgente nell'amore eterno della Santissima Trinità: «La Chiesa pellegrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre». E il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi gli uomini della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio nel loro Spirito d'amore.


CCC 851: Il motivo della missione. Da sempre la Chiesa ha tratto l'obbligo e la forza del suo slancio missionario dall'amore di Dio per tutti gli uomini: «poiché l'amore di Cristo ci spinge...» (2 Cor 5,14). Infatti Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4). Dio vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria.


Maranathà!

Il libro dell’Apocalisse – ultimo libro della Bibbia – termina con questa invocazione: "Signore nostro, vieni!”. Questa preghiera in aramaico si dice: “Maranathà!”.

Su cosa si fonda tale implorazione? Sulle promesse di Gesù, il quale avverte i suoi discepoli che, dopo essere salito al cielo, sarebbe ritornato (cfr. Gv 14,3) presto in mezzo a loro (cfr. Ap 22,20) con potenza e gloria grande (cfr. Lc 21,27).

Quale Avvento vogliamo vivere, allora? Aspettando il Natale di Gesù Salvatore, ci prepariamo alla venuta del Signore, al Suo Ritorno glorioso, alla Sua discesa dal cielo che porterà il pentimento di coloro che l’hanno offeso con i loro peccati e la consolazione definitiva per chi è nel pianto e nel dolore. La morte scomparirà e chi l’accoglierà sarà avvolto dalla Sua luce di gloria eterna.

Quando accadrà questo ritorno? Non lo sappiamo e nessuno mai potrà saperlo. Solo il Padre lo sa (cfr. Mt 24,36) neanche gli angeli in cielo! A noi il compito di sapere attendere, combattere e vivere in funzione della venuta di Gesù Cristo, grazie alla quale tutto sarà ricapitolato in Lui.

Una buonissima giaculatoria per il tempo di Avvento è dunque: “Maranathà – Signore nostro, vieni!”. In questi tempi così tribolati, che la nostra speranza si ravvivi e la nostra fede si rafforzi. Il Signore verrà presto. Amen, Maranathà!

In alto i cuori.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 672: Prima dell'ascensione Cristo ha affermato che non era ancora giunto il momento del costituirsi glorioso del regno messianico atteso da Israele, regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, l'ordine definitivo della giustizia, dell'amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, ma anche un tempo ancora segnato dalla necessità e dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi. È un tempo di attesa e di vigilanza.

CCC 679: Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha «acquisito» questo diritto con la sua croce. Anche il Padre «ha rimesso ogni giudizio al Figlio» (Gv 5,22). Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l'eternità rifiutando lo Spirito d'amore.

Gesù mio, misericordia!

Sopra l’entrata principale della Chiesa svetta la statua del nostro santo Patrono, San Leonardo da Porto Maurizio, e ai suoi piedi la giaculatoria che ripeteva spesso: “Gesù mia misericordia”!

Penso che potremmo fare nostra questa giaculatoria in questi tempi così tribolati. Non possiamo pensare che i mali fisici e morali che ci affliggono possano scomparire senza una incessante richiesta di misericordia che sfocia da un cuore umile e pentito.

Di fronte ad ogni male, in effetti, - anche quello che non dipende da noi – siamo riportati al mistero del peccato e dell’iniquità. Siamo, cioè, ricondotti a quegli inizi così deleteri per l’umanità, quando Adamo ed Eva rinunciarono all’amicizia con Dio pur di soddisfare la propria volontà. La giaculatoria “Gesù mio misericordia” ci immette immediatamente dalla parte di Dio, l’unico capace di liberarci definitivamente dal male. Non sono mai abbastanza umili i nostri atteggiamenti e le nostre preghiere, perché attanagliati dalla tentazione di orgoglio di fronte alla quale hanno ceduto i nostri progenitori.

Allora, non smettiamo di pregare come ci insegna il nostro santo Patrono, facciamolo con fede e insistenza e con i sentimenti che sono di Cristo Gesù in croce: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”.

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

CCC 389: La dottrina del peccato originale è, per così dire, « il rovescio » della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo.


CCC 390: Il racconto della caduta (Gn 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all'inizio della storia dell'uomo. La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori.

La contrizione di Adamo

Dagli scritti di Silvano del Monte Athos

«Grande fu il dolore di Adamo dopo la cacciata dal paradiso, ma più grande ancora quando vide il figlio Abele ucciso da Caino. Per l’immane sofferenza piangeva, pensando: “Allora da me usciranno popoli, si moltiplicheranno sulla terra, ma solo per soffrire tutti, per vivere nell’inimicizia e uccidersi a vicenda”.

Come oceano immenso era il suo dolore: solo le anime che hanno conosciuto il Signore e il suo ineffabile amore possono capirlo. Io pure ho perso la grazia, e con Adamo imploro: “Abbi pietà di me, Signore. Donami lo spirito di umiltà e di amore”.

Come è grande l’amore del Signore! Chi ti ha conosciuto non si stanca di cercarti, e giorno e notte grida: “Desidero te, Signore, in lacrime ti cerco. Come potrei non cercarti? Sei tu che mi hai permesso di conoscerti nello Spirito Santo e ora questa divina conoscenza attira incessantemente la mia anima a te”.

Adamo piangeva: “Il silenzio del deserto non mi rallegra. La bellezza di boschi e prati non mi dà riposo. Il canto degli uccelli non lenisce il mio dolore. Nulla, più nulla mi dà gioia. L’anima mia è affranta da un dolore troppo grande. Ho offeso Dio, il mio amato. E se ancora il Signore mi accogliesse in paradiso, anche là piangerei e soffrirei. Perché ho amareggiato il Dio che amo”».

Le anime del Purgatorio

Gesù - nel vangelo secondo Matteo - dice che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.

Partendo da questa affermazione san Gregorio Magno deduce che certe colpe possano essere rimesse anche nel “secolo futuro”. Cosa significa? Come possiamo indentificare questo “secolo futuro”? In che cosa consiste? La Chiesa insegna che si tratta del Purgatorio, cioè di quel luogo in cui l’anima, dopo la morte del corpo, è sottoposta a una purificazione delle colpe leggere non ancora espiate, per poter accedere alla gioia del cielo.

Tra noi e le anime del purgatorio vige un legame stretto di carità, e non solo con quelle dei nostri cari. Quanto più siamo vicini a Cristo tanto più la nostra preghiera può aiutarli ad avvicinare il loro arrivo in Paradiso. Per questo motivo, a suffragio dei fedeli defunti, si celebra la Santa Messa, luogo nel quale Gesù crocifisso e risorto per la nostra salvezza si fa presente realmente, veramente e concretamente. Pentendoci dei nostri peccati e facendo la comunione con uno spirito di umiltà possiamo, così strettamente vicini a Gesù, alleviare il loro fuoco purificatore e partecipare al loro definitivo approdo alla terra dei beati.

Che siano giorni questi nei quali preghiamo, partecipiamo alla Santa Messa, compiamo opera di carità e di penitenza per questa intenzione! Loro hanno bisogno della nostra carità, noi della loro.

In altro i cuori.

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

208. Che cos’è il giudizio particolare?

È il giudizio di retribuzione immediata, che ciascuno, fin dalla sua morte riceve da Dio nella sua anima immortale, in rapporto alla sua fede e alle sue opere. Tale retribuzione consiste nell’accesso alla beatitudine del cielo, immediatamente o dopo un’adeguata purificazione, oppure alla dannazione eterna nell’inferno.

209. Che cosa s’intende per “cielo”

Per “cielo” s’intende lo stato di felicità suprema e definitiva. Quelli che muoiono nella grazia di Dio e non hanno bisogno di ulteriore purificazione sono riuniti attorno a Gesù e Maria, agli Angeli e ai Santi. Formano così la Chiesa del cielo, dove essi vedono Dio “a faccia a faccia” (1Cor 13,12) vivono in comunione d’amore con la Santissima Trinità e intercedono per noi.

Preghiera a Maria SS. per le anime del Purgatorio più dimenticate

O Maria,

pietà di quelle povere Anime che, chiuse nelle prigioni tenebrose del luogo di espiazione, non hanno alcuno sulla terra che pensi a loro.

Degnati, o Madre buona, abbassare su quelle abbandonate uno sguardo di pietà; ispira a molti cristiani caritatevoli il pensiero di pregare per esse, e cerca nel tuo Cuore di Madre i modi di venire pietosamente in loro aiuto.

O Madre del perpetuo soccorso, abbi pietà delle Anime più abbandonate del Purgatorio. Misericordioso Gesù, dona loro il riposo eterno.

Amen

La preghiera di supplica

Sulla porta vetrata, all’ingresso della nostra Chiesa, è scritto: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Questa asserzione ci assicura che quando preghiamo insieme, nel nome di Gesù, Lui si rende presente e le nostre implorazioni saranno certamente ascoltate. Il versetto che precede ci dà un’altra sicurezza: «In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19). Oggi, sicuramente abbiamo una cosa che chiediamo comunemente: essere liberati dal flagello di questa pandemia. È opportuno chiederlo insieme: “Signore, liberaci dal male di questa epidemia. Insieme, te lo chiediamo, Ascoltaci!”.

La preghiera del rosario che abbiamo iniziato a pregare prima di ogni santa Messa porta, a nome di tutti - tra le altre - anche e soprattutto questa intenzione. Non vogliamo solo prendere le misure igienico-sanitarie per proteggerci da questo male, ma intendiamo anche percorrere quelle strade che sempre la Chiesa ha percorso di fronte ai mali che l’affliggevano: la preghiera di supplica!

Si tratta della preghiera per eccellenza perché proclama l’onnipotenza di Dio creatore e salvatore e permette all’orante di esprimere sentimenti di mitezza e di umiltà propri al cuore di colui che vuole fare di Cristo il proprio Maestro. Chiediamo, supplichiamo insieme, senza sosta e con fede!

In alto i cuori!

Don Luigi

La fede nella testa e nel cuore

2629: Il vocabolario della supplica è ricco di sfumature nel Nuovo Testamento: domandare, implorare, chiedere con insistenza, invocare, impetrare, gridare e perfino « lottare nella preghiera ». Ma la sua forma più abituale, perché la più spontanea, è la domanda: proprio con la preghiera di domanda noi esprimiamo la coscienza della nostra relazione con Dio: in quanto creature, non siamo noi il nostro principio, né siamo padroni delle avversità, né siamo il nostro ultimo fine; anzi, per di più, essendo peccatori, noi, come cristiani, sappiamo che ci allontaniamo dal Padre. La domanda è già un ritorno a lui.

2632: La domanda cristiana è imperniata sul desiderio e sulla ricerca del Regno che viene, conformemente all'insegnamento di Gesù. Nelle domande esiste una gerarchia: prima di tutto si chiede il Regno, poi ciò che è necessario per accoglierlo e per cooperare al suo avvento. Tale cooperazione alla missione di Cristo e dello Spirito Santo, che ora è la missione della Chiesa, è l'oggetto della preghiera della comunità apostolica. È la preghiera di Paolo, l'Apostolo per eccellenza, che ci manifesta come la sollecitudine divina per tutte le Chiese debba animare la preghiera cristiana. Mediante la preghiera ogni battezzato opera per l'avvento del Regno.


Pregate senza sosta

Non è raro che la preghiera del Rosario sia criticata perché ripetitiva e noiosa. Abbiamo già parlato delle distrazioni che subentrano e come affrontarle. Rimane l’obiezione della ripetitività. Potrei semplicemente superarla dicendo che in ogni speciale rapporto d’amore le frasi possono ripetersi ma non perdono di valore, anzi lo acquistano. Quale amata rifiuterebbe di sentirsi dire ripetutamente: “Ti amo”? Perché allora l’amante dovrebbe rinunciare a esprimersi ripetendosi?


San Paolo scrive ai Tessalonicesi: “Pregate ininterrottamente”. La sapienza della spiritualità orientale insegna, per poter pregare senza sosta, a ripetere un numero crescente di volte la stessa identica preghiera: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi pietà di me peccatore”. Perché dirla più e più volte? Ogni orazione ha lo scopo di unirci a Gesù. Tale comunione può essere sempre più profonda. La ripetizione della stessa preghiera aiuta ad entrare nel luogo più intimo della nostra anima, dove solo Dio dimora e lì a rimanere in un cordiale colloquio. La preghiera ripetuta suscita un unico battito d’amore con Dio. Le stesse parole segnano il ritmo di un solo e unico respiro che si unisce al soffio dello Spirito che circola in noi.


La preghiera dell’Ave Maria termina nella sua prima parte con la parola “Gesù”. Intorno a questo nome è costruita la preghiera, infatti Maria ci vuole condurre a Suo Figlio e nostro Signore. Ogni Ave Maria, dunque, è un passo in più verso Cristo. Sua Madre, ad ogni ripetizione, non può che avvicinarci, sempre più intimamente, a Lui. La ripetitività non è un ostacolo, ma un dono che non fa preferenze di persone. Richiede, è vero, una certa semplicità di spirito. Saremo, così, uniti sempre più saldamente al nostro Salvatore come il tralcio alla vite.

In alto i cuori!

Don Luigi

Da "Racconti di un pellegrino russo"

Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore, per vocazione pellegrino errante di luogo in luogo. I miei beni terreni sono una bisaccia sul dorso con un po' di pan secco e, nella tasca interna del camiciotto, la Sacra Bibbia. Null'altro.

Una domenica entrai in una chiesa, durante la Liturgia, per pregare. Stavano leggendo il passo della prima lettera ai Tessalonicesi in cui è detto: «Pregate senza interruzione». Queste parole si incisero profondamente nel mio spirito, e cominciai a chiedermi come fosse possibile pregare senza posa quando ciascuno è necessariamente impegnato a lavorare per il proprio sostentamento. Cercai nella mia Bibbia e lessi proprio quello che avevo udito, e cioè: «Pregate senza interruzione per mezzo dello Spirito in ogni tempo». Pensavo e pensavo, senza trovare alcuna soluzione.

Volendo che qualcuno mi chiarisse il senso di quelle parole, decisi di recarmi nelle chiese dove si trovano predicatori di grande fama; chissà che da loro non mi sarebbero giunte parole illuminanti. E così feci. Udii molte prediche bellissime sull'orazione in generale: che cos'è, perché è indispensabile, quali sono i suoi frutti; ma nessuno mi spiegava come pregare incessantemente. Insomma, nelle prediche che udii non trovai la risposta che cercavo, sicchè decisi di cercare, con l'aiuto di Dio, un uomo sapiente ed esperto che mi spiegasse il mistero dell'orazione ininterrotta e continua che tanto mi attraeva.

(…) Camminai per circa cinque giorni lungo la strada maestra, finché una sera incontrai un monaco che viveva in un eremo poco lontano. Era uno starets (= un maestro spirituale). Mentre lo accompagnavo gli esposi il mio problema. Allora mi invitò nella sua cella e mi disse: «Per "preghiera continua" non si intende altro che la cosiddetta "Preghiera di Gesù" o "preghiera del cuore", che consiste nella continua ed incessante ripetizione del Nome di Gesù con le labbra, con la mente e con il cuore, durante ogni occupazione, in ogni luogo e tempo, anche nel sonno. La Preghiera si compone di queste parole: " Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore!". Chi si abituerà a questa invocazione proverà una tale consolazione e un tal bisogno di pronunciarla di continuo, che non potrà più vivere senza di essa, ed essa fluirà spontaneamente dentro di lui. Ora hai capito che cos'è l'orazione ininterrotta?».

Distrazioni e preghiera

Molto spesso mi si dice: “Don, la preghiera del Rosario è troppo lunga e la mia testa mi porta lontano, con i suoi pensieri, dalla meditazione dei misteri”. Questa esperienza diventa, spesso, causa di cedimento. Si comincia a ridurre il numero di decine, fino a non pregarlo più quotidianamente. La nostra anima, invece, avrebbe tanto bisogno di dissetarsi con l’acqua fresca della preghiera mariana perché ci conduce più speditamente e più semplicemente a Gesù.

Si tratta solamente di non abbassare la guardia di fronte agli ostacoli, ma di continuare senza demordere perché la fedeltà premia colui che la pratica; la perseveranza rinvigorisce chi la intrattiene; la costanza rigenera coloro che l’abbracciano.

Non siano le distrazioni a fermarci, anzi, anche attraverso di esse avanziamo con ancora più forza nella preghiera del Rosario!

In alto i cuori.

Don Luigi

Parola al Montfort

“Se durante tutto il Rosario devi proprio combattere contro le distrazioni che hai, combatti coraggiosamente con le armi in pugno, cioè continua la recita del Rosario, anche se non senti né gusto né consolazione sensibile: è un combattimento duro, ma salutare per l’anima che resta fedele. Se abbassi le armi, cioè se abbandoni il Rosario, sei vinto; e allora il diavolo, che ha avuto la meglio sulla tua fermezza, ti lascerà in pace, ma nel giorno del giudizio ti rimprovererà la vigliaccheria e l’infedeltà. Chi è fedele nel respingere le più piccole distrazioni anche nella più piccola delle sue preghiere, sarà fedele nelle grandi cose (…) Che la moltitudine di mosche (chiamo così le distrazioni che vi disturbano durante la preghiera), non siano in grado di farvi abbandonare vilmente la compagnia di Gesù e di Maria, in cui vi trovate mentre dite il Rosario”.

San Luigi Maria di Montfort (Il segreto meraviglioso del Santo Rosario, 125).


La Madonna del Rosario e la pace

Il 7 ottobre 1571 le flotte dell’Impero ottomano si scontrarono con quelle cristiane. Alle grida di guerra e ai primi attacchi turchi, i militi si uniranno in una preghiera accorata. Mentre si moriva per Cristo, per la Chiesa e per la Patria, si recitava il Santo Rosario: e i prigionieri remavano ritmando il tempo con le decine dei misteri. L’annuncio della vittoria giungerà a Roma 23 giorni dopo. Il trionfo fu attribuito all’intercessione della Vergine Maria, tanto che san Pio V, nel 1572, istituì la festa di Santa Maria della Vittoria, trasformata da Gregorio XIII in «Madonna del Rosario» che festeggiamo proprio il 7 ottobre di ogni anno.

Affidiamo alla intercessione di Maria Santissima tutte le nostre intenzioni, ma soprattutto approfittiamo della divina arma potente del Rosario per trovare forza e protezione lungo la navigata della nostra vita perché, ad ogni remata dura e pesante che l’oceano del male e il mare dei nemici ci riservino, possiamo giungere al porto sospirato sotto la protezione della nostra tenera Madre. Sgraniamo, quindi le corone dei nostri rosari e meditiamo con devozione i misteri della vita di Cristo perché la pace dimori in mezzo a noi!

In alto i cuori!

Don Luigi

Preghiera alla beata Vergine del Rosario

O Vergine Immacolata, Regina del Rosario,

che spargi i tesori della Celeste Misericordia,

difendici dal male, dall'orgoglio,

e purifica i nostri affetti.

Col tuo materno aiuto e sotto la tua protezione,

vogliamo vivere, o dolce Madre di misericordia,

Regina del Santo Rosario.

Amen.

Atto di offerta

Il nostro arcivescovo Mario ci invita a pregare perché Dio infonda nei nostri cuori la Sua Sapienza. Ricorrere all’aiuto e all’esempio dei santi è uno dei modi più semplici e rapidi perché le nostre invocazioni diventino efficaci. Il nostro santo Patrono, San Leonardo da Porto Maurizio, ogni giorno ripeteva l’atto di offerta, da lui composto, colmo di quella Sapienza a cui aneliamo perché contiene, non solo tutta la fede che ci è stata trasmessa, ma anche tutto il desiderio di essere come Dio vuole, in tutto e per tutto. La sua preghiera così debutta: “intendo far tutto per amor Tuo, per la Tua gloria, per adempiere la divina Tua volontà, per servirTi, lodarTi e benedirTi”.

Vi invito a far vostre, quotidianamente, queste intenzioni sante, perché contengono il senso della vita di ogni persona. Beato quell’uomo che scopre di essere fatto per Dio e per Lui solo, il quale ci ha chiamati dal nulla su questa Terra per adempiere la volontà Sua, e in questo modo renderGli gloria.

Faremmo qualcosa che possa dispiacere la persona che amiamo di più, e se lo facessimo, non ci pentiremmo subito soffrendo immensamente? Se così accade con delle creature, come dovrebbe essere con il nostro Creatore quando lo offendiamo perché non facciamo tutto per amor Suo?

Che in questa domenica il nostro cuore si apra alla grazia dello Spirito di Sapienza che ha riempito il nostro santo patrono e che vuole colmare le nostre anime.

In alto i cuori!

Don Luigi

Atto di offerta di San Leonardo

Recitato ogni mattina da San Leonardo da Porto Maurizio

Eterno mio Dio, eccomi prostrato innanzi l’immensa Maestà Tua,

ed umilmente adorandoTi ti offro tutti i miei pensieri, parole ed opere di questo giorno;

ed intendo far tutto per amor Tuo,

per la Tua gloria,

per adempiere la divina Tua volontà,

per servirTi, lodarTi e benedirTi,

per essere illuminato nei Misteri della santa Fede,

per assicurare la mia eterna salvezza, e per sperare nella Tua Misericordia, per soddisfare la Tua divina Giustizia per tanti miei gravissimi peccati,

per suffragare le Anime Sante del Purgatorio,

per impetrare la grazia di una vera conversione a tutti i peccatori:

insomma intendo fare ogni cosa oggi in unione di quelle purissime intenzioni, che ebbero in vita Gesù e Maria, tutti i santi che sono in Cielo, ed i Giusti che sono in terra;

e vorrei poter sottoscrivere col proprio sangue questa mia intenzione, e replicarla tante volte ad ogni momento, quanti saranno i momenti di tutta l’Eternità.

Ricevi, caro mio Dio, questo mio buon cuore,

e datemi la vostra santa Benedizione con la grazia efficace di non commettere mai peccato mortale, in tutto il tempo della mia vita, ma particolarmente in questo giorno,

in cui desidero e intendo ricevere tutte le Indulgenze di cui posso essere capace, e assistere a tutte le Messe, che oggi si celebreranno su tutta la Terra, applicandole tutte in suffragio delle Anime sante del Purgatorio perché siano liberate dalle loro pene. Amen

PREGARE E AMARE

"Questo è il bel compito dell’uomo: pregare e amare. Se voi pregate ed amate, ecco, questa è la felicità dell’uomo sulla terra”. Con parole come queste, San Giovanni Maria Vianney (il Curato d’Ars) insegnava la fede cattolica durante gli incontri di catechismo.

In questa domenica del mio ingresso ufficiale fra voi come Vicario responsabile, voglio fare mie queste sue parole, affinché segnino l'inizio del nostro cammino comune nella parrocchia di San Leonardo all’interno della comunità pastorale “La Trasfigurazione”.

“Pregare” e “amare” sono le due azioni che dicono, in sintesi, tutto il vissuto del cristiano: “pregare” significa unirsi a Dio nell’amore Suo, e “amare” significa vivere quell’unione amorosa con Lui in ogni momento della vita, trasformando la propria vita in preghiera. Chi prega, quindi, è spinto ad amare intensamente; chi ama il prossimo ricerca Dio senza sosta nella preghiera.

Cosa potrei desiderare di più per noi tutti in questo nuovo inizio, se non che la nostra parrocchia sia luogo di profonda preghiera e di intensa carità? Affidiamo assieme questa intenzione alle preghiere di Maria e mettiamo tutto il nostro impegno perché non siamo noi a metter ostacoli alla nostra gioia in terra, ma soprattutto a quella che ci aspetta in cielo.

Che queste due parole, “pregare” e “amare”, siano anche il modo nel quale impariamo a “stare al mondo” con sapienza, proprio come il nostro Arcivescovo ci esorta nella sua proposta pastorale di quest’anno.

In alto i cuori!

Don Luigi

CHI PREGA SI SALVA

Dalla catechesi tenuta da Benedetto XVI nell’udienza dell’1/8/2012 su sant’Alfonso Maria de’ Liguori


Risale all'anno 1759 il suo trattato Del gran mezzo della Preghiera, che egli considerava il più utile tra tutti i suoi scritti. Infatti descrive la preghiera come «il mezzo necessario e sicuro per ottenere la salvezza e tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per conseguirla» (Introduzione) (…) Sant’Alfonso aveva coniato una famosa massima, molto elementare: «Chi prega si salva, chi non prega si danna!». A commento di tale frase lapidaria, aggiungeva: «Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile… ma pregando il salvarsi è cosa sicura e facilissima» (II, Conclusione). (…) Dicendo quindi che la preghiera è un mezzo necessario, Sant’Alfonso voleva far comprendere che in ogni situazione della vita non si può fare a meno di pregare, specie nel momento della prova e nelle difficoltà. (…) Cari amici, questa è la questione centrale: che cosa è davvero necessario nella mia vita? Rispondo con Sant’Alfonso: «La salute e tutte le grazie che per quella ci bisognano» (ibid.); naturalmente, egli intende non solo la salute del corpo, ma anzitutto anche quella dell’anima, che Gesù ci dona.